2. Loyalty: Investimenti, App e Coinvolgimento

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2. Loyalty: Investimenti, App e Coinvolgimento

Gennaio 2012.  In futuro i comportamenti di acquisto e quindi le strategie di loyalty passeranno da nuovi strumenti. Quello delle app è l’unico ambito in cui si evidenzia un netto divario tra aziende di diverse dimensioni, visto che solo le più grandi se ne sono dotate. Se il sito web si conferma un importante driver per le attività di fidelizzazione, le potenzialità delle customer service app devono essere ancora valutate. Air Asia ha sviluppato un’app che consente ai clienti di fare domande attraverso il loro smartphone. I risultati sono due milioni di download negli iphone app market di Malaysia, Tailandia e Indonesia e una riduzione dei costi di customer service del 40%. La mancanza di case histories che coinvolgano grandi brand e le difficoltà che questo sistema può incontrare nell’adattarsi alle diverse problematiche di diversi mercati sollevano però molti interrogativi sul suo utilizzo futuro. 
La Northwestern University di Chicago e l’Ivey School of Business dell’Ontario hanno invece studiato per due anni i dati del programma loyalty di un noto brand (web community a cui si accede con username e password), mettendoli in relazione con frequenza, spesa e utilizzo dei punti fedeltà. È emerso che il comportamento di acquisto va di pari passo con la partecipazione online: aprire le email, navigare il sito della comunità, fornire i propri commenti erano azioni associate in misura crescente all’effettivo acquisto del prodotto e alla frequenza di riacquisto. L’incremento maggiore si è verificato nel segmento dei clienti “intermedi”, con un potenziale da attivare, quando li si incoraggiava a commentare i benefici del prodotto.

Gli investimenti
In generale, gli investimenti pro fidelizzazione si possono classificare in due categorie: 
–    “loyalty di massa”: attività rivolte a tutti i clienti indistintamente (catalogo premi, raccolte brevi con bollini, comunicazione del programma loyalty, senza segmentazione di alcun tipo);
–    “loyalty micro”: attività mirate a specifici clienti o segmenti di clientela, sulla scorta di un’analisi del database e di media diretti (quali coupon basati sulla storia degli acquisti o sul valore della spesa).
L’analisi del settore Retail

permette di quantificare l’investimento complessivo nella misura del 36% del totale budget di comunicazione (in particolare 24% loyalty “di massa”, 12% loyalty “micro”). Il restante 64% è destinato alla comunicazione “non loyalty” (pubblicità televisiva e radiofonica, volantini, affissioni e simili), che non è dunque riservata ai soli clienti fidelizzati. Questo dato non differisce sensibilmente tra GDO e retail non grocery, ma nel caso dell’investimento loyalty si riscontra invece un notevole divario

L’investimento loyalty della GDO è assorbito da programmi fedeltà massificati e offerti a tutti i clienti, dal catalogo dei premi al meccanismo di reward (prodotti scontati per i titolari sugli scaffali o a volantino, punti su specifici prodotti), che offrono poco spazio di differenziazione.
Catalogo premi e raccolta punti appaiono però in flessione (in pochi anni 4 grandi gruppi li hanno sospesi)

mentre i consumatori mostrano di apprezzare maggiormente altre iniziative, come la riduzione della durata delle raccolte e, soprattutto, la conversione dei punti in sconti o buoni spesa.

Strategie di Risparmio                Loyalty Program

  • Lista della spesa e acquisti pianificati       
  • Maggiore interesse per la carta fedeltà quando dà sconti
  • Confronto prezzi                
  • Aumento dell’impiego dei buoni sconto
  • Consultazione volantini online            
  • Redemption più frequente dei punti
  • Preferenza per sconti immediati    
  • Punti convertiti in sconti per ridurre lo scontrino o spesi per  prodotti necessari

Fonti: Market Tools, Nielsen, Ipsos Mori, eMarketer, Creation, PMA

In futuro il “micro” aumenterà per tutti, proseguendo la tendenza di questi anni: 35%, in media, intorno al 50% nel non grocery. La GDO tuttavia fa più fatica a passare alla loyalty mirata: solo il 14% del valore viene distribuito in questo modo e anche in futuro non si arriverà a superare il 23%, data l’elevata penetrazione delle carte fedeltà (74% sul fatturato GDO e 90% sul totale delle famiglie), che impone di destinare buona parte delle risorse alla distribuzione di punti “di massa”.
 

La penetrazione delle carte fedeltà presso le famiglie è passata dall’80% del 2006 all’86% del 2009 al 90% del 2012 (Nielsen)
Tuttavia, affiancando attività di CRM relativamente economiche, come la stampa di coupon mirati sullo scontrino, alcune insegne arrivano a distribuire fino al 30% del valore in una logica “micro”.
Il couponing, ovvero la stampa di buoni sconto alla cassa, sullo scontrino, o comunque in store, è il mezzo ritenuto più importante dagli intervistati: figura al primo posto per la GDO, al secondo per retail non grocery e terzo per l’industria. Molto efficace viene giudicato anche il direct mail congiunto, in cui marca e insegna parlano al cliente, offrendo informazioni e/o promozioni dedicate.
Secondo le aziende intenzionate a mantenere il programma di fidelizzazione, le azioni mirate tramite direct mail ed email (CRM) sono le più interessanti per differenziarlo, insieme al “premio sconto” ovvero alla conversione dei punti in buono sconto o in sconto immediato alla cassa. Se già nel 2010 il numero delle insegne che consentivano di convertire i punti in sconto cominciava ad aumentare (allora il 75% della GDO), oggi questa voce risulta sempre più importante per il retail. Le uniche differenze significative circa l’orientamento futuro dei programmi loyalty nel grocery e non grocery riguarda l’interesse per le short collection e per le iniziative di solidarietà, che interessano quasi esclusivamente la GDO. Negli anni si è riscontrata un’alternanza di attenzione alle diverse leve: partnership, conversione dei punti in servizi innovativi, premi di marca in esclusiva oggi perdono importanza a favore della conversione del valore in sconti, di questi tempi molto apprezzata dai consumatori.

Per molto tempo si è studiato il processo di acquisto attraverso la metafora dell’imbuto: i consumatori prendono in considerazione un certo numero di marche potenziali e il marketing si rivolge a loro mano a mano che questo numero si riduce, fino al momento in cui compiono la loro scelta. Oggi il moltiplicarsi dei prodotti, dei canali digitali e delle possibilità di contattare attivamente il brand da parte di un cliente sempre più consapevole determina invece un percorso articolato su più circuiti di feedback, in cui il numero di marche può cambiare e ri-espandersi diverse volte. Come emerge dalle opinioni delle aziende e del retail, la fase più importante consiste nell’esperienza diretta con il prodotto e con il punto vendita/servizio, seguita da quella del “bond”, cioè del legame con la marca. Un risultato interessante, che ridimensiona lo stereotipo dell’industria concentrata sulla pubblicità per creare l’awareness quando il cliente seleziona l’insieme di marche tra cui scegliere. Cresce invece l’attenzione al rapporto con il cliente, per riuscire a catturarlo attraverso l’esperienza con il prodotto e successivamente a conservarlo nel tempo.
Per non rischiare di diluire troppo lo sforzo, assediare il consumatore a ogni passo e venire infine “zittiti” da quest’ultimo, sarebbe molto importante individuare correttamente il momento in cui posizionarsi e il tipo di offerta da proporre. Eppure solo il 24% delle imprese ha compiuto una riflessione strategica sul momento chiave per entrare efficacemente in contatto con il potenziale acquirente.

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