Coop dice che non siamo sostenibili. E lotta insieme a noi

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Coop dice che non siamo sostenibili. E lotta insieme a noi
 
Settembre 2018. È stata presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2018” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di REF Ricerche, il supporto d’analisi di Nielsen, e i contributi originali di Iri Information Resources, GFK, Demos, Nomisma. Pwc, Ufficio Studi Mediobanca. Il Rapporto, anche quest’anno in versione digitale, indaga i mutamenti delle famiglie, analizza l’andamento dei consumi, approfondisce le scelte alimentari degli italiani e rende conto dell’evoluzione del retail.
 
Una ripresa ingiusta e non sostenibile
Nel mondo globalizzato si avvicinano le sorti dei paesi emergenti e di quelli già industrializzati (i consumi dei cinesi crescono del 10% all’anno, quelli degli americani del  2,8%) ma aumentano a dismisura le distanze sociali interne e tornano a fare capolino istanze del passato  (il neoprotezionismo commerciale e migratorio, la protesta anti-elite, vecchi e nuovi populismi). Proprio l’Italia è un caso emblematico; dopo quasi 5 anni, la sempre più lenta ripresa (+1,2% la variazione attesa del Pil nel 2018 contro 1,5% effettivo del 2017) va a vantaggio di pochi, non risolleva le sorti della classe media e addirittura spinge ancora più in basso le condizioni delle famiglie in maggiore difficoltà. A rendere la situazione vulnerabile è inoltre il fatto che, ammesso che ripresa sia, è troppo dipendente dalle esportazioni e asimmetrica perché si rivolge alle aree produttive del Paese inserite nelle filiere internazionali. E continuano a latitare gli investimenti, soprattutto quelli pubblici imbrigliati dal forte incremento del debito pubblico che ci vede ai vertici mondiali (131,5% del Pil). Anche per questo il positivo andamento dell’occupazione (superati i 23 milioni di occupati nel 2018) trova riscontro soprattutto nella crescita dei lavori temporanei (+ 36% dal 2004) e flessibili e un pressoché nullo incremento dei salari (+ 0,6%) e un contenuto rialzo dei redditi delle famiglie (+ 1,7% il reddito disponibile).
Tutto questo aggrava e sclerotizza le già ampie distanze sociali, economiche e geografiche del Paese. In sostanza chi è povero tale rimane: il 62% degli italiani che si trova nel 20% inferiore nella distribuzione del reddito è tale anche dopo 4 anni, una percentuale superiore di 5,5 punti rispetto alla media dei 36 Paesi Ocse.
Da premesse simili arrivano dati non incoraggianti sui consumi. L’Italia del 2017 resta il fanalino di coda in Europa con una riduzione dei consumi delle famiglie rispetto al 2010 di oltre il 2% (-2,2%) a fronte di un solido +12,7% tedesco, di un +10,2% francese e di una sostanziale stabilità spagnola (0,1%). E anche nell’ultimo anno il dato italiano (+0,7%) è il più basso tra le grandi economie europee. Soprattutto sui consumi si evidenziano le sperequazioni: le famiglie benestanti spendono 4 volte di più rispetto a quelle con bassa capacità di spesa e tra una famiglia trentina e una calabrese il differenziale all’anno è pari a 17.000 euro.  Non stupisce che nel medio termine crescano soprattutto i consumi legati alle comunicazione (che sono spesso consumi gratuiti) e al digitale (+2,6% mercato digitale nell’ultimo anno), le spese obbligate come casa e salute (quasi 40 miliardi di euro per la spesa sanitaria privata in Italia nel 2017) e per chi può permetterseli volgono in positivo i servizi per la persona e il tempo libero (soprattutto ristorazione +7,8% e viaggi). In calo negli ultimi anni l’abbigliamento che insieme alle calzature registra un -4,8% e i trasporti (-14,9%).
 
“Esploratori” o “nostalgici”, i nuovi trend setter (nel mezzo ci sta il Paese) Polarizzati e divisi, gli italiani adottano comportamenti diversi a seconda delle disponibilità economiche ma anche del luogo in cui vivono, dell’età e dell’occupazione che hanno, del livello di istruzione e del loro stesso approccio alla vita. Il 17% degli italiani (18-65enni) sono “esploratori”. Espressione piena della società postmoderna hanno comportamenti – e spesso valori – liquidi, si trovano a loro agio in una sperimentazione continua del nuovo, qualche volta senza un concreto, reale, costrutto. Alla polarità opposta si collocano i “nostalgici” (26% del campione), che complice una condizione economica più incerta, mostrano una netta insoddisfazione per il lavoro e la vita in generale. Guardano con nostalgia a un passato che aveva offerto loro affermazione sociale e sicurezza, provano disagio per un presente che non li rassicura e anzi li mette spesso in difficoltà, nutrono avversione per un futuro che sembra non promettere niente di buono e che li spaventa molto. Contemporanei almeno quanto gli esploratori, sono parte della classe media che ha sperimentato gli effetti più duri della crisi, non credono nella retorica del progresso fine a se stesso e vorrebbero prove tangibili di un cambiamento che favorisca la qualità della vita e il ritorno di un sistema sociale che sia in grado di supportarli. Sono gli italiani più delusi, quasi livorosi nei confronti delle istituzioni (siano essi lo Stato, la Chiesa, la Politica). Tra queste due polarità, il magma del Paese ancora incerto sull’indirizzo da prendere e attraversato da pulsioni e atteggiamenti contrastanti.
La diffidenza nei confronti della popolazione immigrata rappresenta oggi una delle distinzioni più marcate tra gli italiani; il 51% mostra diffidenza verso gli immigrati (rispetto al 38% dei francesi, al 35% dei tedeschi, al 26%  degli spagnoli). Il 61% dei “nostalgici” prova nei loro confronti addirittura rancore (quasi il doppio rispetto al 37% della media nazionale). Eppure l’immigrazione vale per l’Italia 7,2 miliardi di Irpef versata e un Pil di oltre 130 miliardi di euro (è la 17esima economia in Europa non lontana dalla Grecia e prima dell’Ungheria).
 
Le prospettive dei cittadini
Al contrario dell’immigrazione, le prospettive future che gli italiani condividono sono i valori di sempre (la famiglia, il lavoro, la casa, la salute, il cibo) e le nuove priorità (l’ambiente e internet).
Alla famiglia guarda con affetto oltre il 90% degli italiani e nell’affetto è più estesamente inclusa anche la cerchia amicale (82%). La casa è una passione  “storica” che riemerge anche nel 2017: si torna a comprare (+ 5% il volume delle compravendite nel 2017 e +4,3% nei primi sei mesi dell’anno), la si considera un rifugio (la definisce tale il 42% del campione) e si pretende che sia smart e domotica (il valore di queste vendite ha raggiunto quota 250 milioni di euro pari a un +35%).
Sentimenti di benevolenza gli italiani riversano anche verso il datore di lavoro e mostrano fiducia verso una nuova più flessibile occupazione che a ben guardare è già realtà: smart e gig erano solo il 3% dei lavoratori nel 2013, oggi sono già l’8% e il futuro sarà sempre più multitasking. Per il futuro del lavoro gli italiani infatti si affidano alla tecnologia (6 su 10 sono convinti che web e app aiuteranno un domani a trovare occupazione), vivono i lavoretti di oggi come un passaggio a un’occupazione continuativa (lo pensa il 28%), ritengono il multitasking una delle competenze più richieste (ne è convinto il 66%) e ancora una volta temono gli immigrati (il 37% ritiene negativa la presenza di manodopera straniera nel Paese di qui a 10 anni).  
Quanto a coscienza verde gli italiani non sono secondi a nessuno, sia in termini di consapevolezza che, per una volta tanto, in conseguenti azioni concrete. 9 italiani su 10 ritengono che vivere in un ambiente salubre sia una condizione fondamentale per conseguire una elevata qualità della vita (83% in Francia e solo 72% in Germania). E nel carrello compare la preferenza per il meno plastica (+14), il biodegradabile (+6%). Persino là dove come nel caso dei detergenti domestici il mercato annaspa (-0,8%), le scelte green fanno segnare una crescita a valore dell’8,8%. Prodotti ecologici e responsabili hanno raggiunto nel primo semestre 2018 quota 2 mld di euro nelle vendite (contro i 3,6 mld di tutto il 2017). Spostandosi sul mercato dell’auto, è proprio la vettura ibrida a catturare sempre di più le preferenze degli automobilisti italiani (nel 2017 il 71% di vendite in più).
Mentre internet e più in generale tutto ciò che lì ruota, estendendo il concetto alla tecnologia digitale, è ancora in cima ai pensieri degli italiani che però mostrano se non scetticismo certo una maggiore consapevolezza nel suo utilizzo. Non è un caso che un italiano su 3 riconosca di aver contratto una forma di dipendenza dal suo smartphone (peraltro il mercato continua a crescere: + 3,6 %, oltre un punto percentuale in più della media europea). E che in fatto di social la piazza piccola ma sicura di Whatsapp abbia superato la ben più affollata Facebook (82,9% vs 68,8% la percentuale di chi lo utilizza quotidianamente).
Il ruolo dei social impatta probabilmente sulla percezione distorta che si ha di dati oggettivi; nel pensiero comune il tasso di disoccupazione è sovrastimato rispetto ai dati ufficiali (14,4% contro l’11%) e in materia economica gli italiani hanno vissuto psicologicamente in questi ultimi anni un incremento consistente dei prezzi dei beni e dei servizi. Un’inflazione percepita prossima al 4% (in realtà è ricomparsa solo nel 2017 superando un punto percentuale) che nelle statistiche ufficiali è un dato della metà degli anni Novanta.
L’ Io supera il Noi anche nel tempo libero; lo sport che quasi la metà degli italiani pratica più di una volta alla settimana è sempre meno sport di squadra. Il calcio/calcetto, un tratto identitario del Paese, sta appena a metà classifica ed è superato dalla corsa (44%), il fitness, il nuoto e insidiato da vicino dal boom yoga: lo pratica quasi il 7% della popolazione ma il 32% dichiara la sua intenzione di provarlo in futuro. L’introspezione toglie terreno alla religiosità; solo il 46,7% degli italiani si dichiara religioso e crede nella divinità a fronte di un 12% che medita regolarmente e di un 40% che già svolge o vorrebbe iniziare a praticare discipline orientali (a cui si aggiunge un 24% che crede in un’entità superiore seppur non si definisce religioso). 
 
Il cibo o è local o è pronto
In fatto di cibo, gli italiani confermano la loro indiscutibile supremazia. Primi per spesa alimentare in Europa e nel mondo (19% la quota di spesa destinata a cibo e bevande, il massimo dell’ultimo decennio), sono stati anche precursori verso una dieta bilanciata e salubre e ancora oggi privilegiano gli acquisti di frutta e verdura (+ 8,6% la crescita a volume dell’ortofrutta confezionata), pane e cereali rinunciando sempre più a zuccheri e grassi. Ciò nonostante dopo un 2017 molto positivo (anche grazie all’effetto meteo) il primo semestre dell’anno presenta una crescita molto debole (+0,6% a valore, con una inflazione dell’1,1%) e con un netto spostamento a favore dei freschi e dei prodotti confezionati. Il risultato è anche in questo caso una media di andamenti divergenti: crescono i consumi dei più abbienti (+2,8%), del Nord e del Sud (+1%), delle famiglie con figli (+2%), vanno in negativo gli acquisti food dei più poveri (-4%), degli under 35 (-7%). Cresce ancora l’incidenza delle vendite dei prodotti premium di quasi un punto percentuale e le vendite del discount  (la quota di mercato è balzata dal 10% al 26% nel volgere degli ultimi dieci anni).  Non è un caso allo stesso modo che se da un lato, insieme a quello etnico, cresce il carrello del lusso (+9,3%), contemporaneamente, dopo anni, torna positivo quello dei prodotti più basici (+2,1%). Negli ultimi mesi, infatti, il mercato torna a chiedere convenienza e si riaccende la pressione sui prezzi. Tra i 10 prodotti che calano di più nel carrello compaiono il cioccolato, lo zucchero raffinato, il burro, le merendine, la panna da cucina. Il salutismo, trend vincente degli ultimi anni a tavola, mostra però i primi segni di rallentamento dovuti alla qualificazione dei trend e probabilmente alla saturazione di alcuni spazi di mercato. Il carrello della salute cresce ancora nel primo semestre di un +2,3% (ma era il +5% nel 2017) e le sue singole componenti evidenziano andamenti diversi: il senza glutine segna un +1% nell’ultimo anno (ma tra 2014 e 2018 era cresciuto di ben 15 punti percentuali) il dietetico è sostanzialmente fermo e i sostituti delle proteine animali in calo (seitan -0,3%, tofu -0,5%, pasta di kamut -1,1%). Allo stesso tempo continua la crescita del senza lattosio (+6%) e dei prodotti biologici che crescono ancora a doppia cifra e sono oramai nelle dispense di quasi tutte le famiglie italiane (chi è dichiaratamente biosalutista è il 19% della popolazione).
È vero, infatti che oramai solo la metà degli italiani si dichiara esclusivamente tradizionalista in fatto di cibo. L’altra metà oscilla tra la voglia di risparmio (low cost) e gli stili alimentari innovativi,  che sono sempre più fluidi.  Persino tra i veg & veg che fino a poco tempo fa sembravano dominare il panorama dei trend a tavola compaiono i primi pentiti: a fronte di un 8,3% che dichiara di esserlo, il 9,7% afferma di esserlo stato e di averci rinunciato. Modernità che va ancora una volta di pari passo con la tradizione e il senso di appartenenza che continua a indirizzare i consumatori italiani verso prodotti italiani (+9% il “100%” italiano), privilegiando i piccoli brand alla grande marca (+4,3%). E se si va a vedere il quadro non brillante della grande distribuzione italiana a risultare vincenti insieme ai discount sono proprio i retailer focalizzati sui territori (+3,4%).
Il fenomeno del momento in fatto di cibo è sicuramente il “ready to eat” (pronto da mangiare). Non è un caso che tra i carrelli, il pronto faccia registrare un +6% e che l’e-food sia sempre più un’alternativa diffusa tra gli italiani. Solo nei primi tre mesi del 2018, 3,5 milioni di italiani (+ 80% rispetto al 2017) è ricorso al food delivery, mentre l’online alimentare registra un balzo in avanti di un +34% nei primi sei mesi dell’anno.
 
Previsioni e proposte di Coop
“Stiamo vivendo una fase di grandi tensioni in ambito sociale ed economico. La crescita si è quasi fermata e i consumi reali del primo semestre sono in calo (GDO montante ad agosto -0,8%). L’incertezza e il malessere riguardano una parte sempre più consistente della società italiana –spiega Marco Pedroni, Presidente Coop Italia- Se guardiamo al mercato della grande distribuzione in Italia è evidente che è uno dei più complessi d’Europa, non solo perché cresce di meno ed è il più affollato, ma anche perché è sottoposto a oscillazioni anche repentine dei comportamenti dei consumatori. Coop mantiene la barra diritta, riteniamo di essere un presidio e un modello per molti anche dei nostri stessi competitor. La nostra sfida è quella di offrire un cibo buono e sicuro per tutti i consumatori, accessibile anche alle fasce più deboli. Le sfide sull’etica o sulla trasparenza dei prodotti sono per noi temi affrontati, sui quali siamo da sempre precursori; per stare alle attività più recenti si pensi alla filiera agricola di Buoni&Giusti Coop contro il lavoro nero in agricoltura, al superamento dell’uso degli antibiotici negli allevamenti degli animali, al progetto per la riduzione di tutte le plastiche nei prodotti Coop. Offriamo garanzie come nessun altro e non abbasseremo certo la guardia. Lavoriamo quotidianamente su questi ambiti facendo sì che i nostri prodotti a marchio (festeggeremo i 70 anni con una mostra/evento in Triennale a Milano a partire dal prossimo novembre) raggiungano a quantità oltre un terzo delle nostre vendite entro fine anno. Inoltre puntiamo a chiudere il 2018 con vendite complessive in linea con quelle del 2017, dopo un primo trimestre in cui avevamo registrato un rallentamento. Al Governo chiediamo di evitare l’aumento dell’Iva in particolare sui generi alimentari; una misura ingiusta per le famiglie e disastrosa per i consumi”.  
 
Cosa propone Coop
“ Le differenze che il RapportoCoop 2018 evidenzia sono riflesse anche nei diversi andamenti delle singole cooperative a dimostrazione di quanto la componente territoriale sia un elemento discriminante. Siamo un mondo cooperativo fatto di esperienze imprenditoriali diverse e di risultati diversi. Operiamo in un mercato nel quale si affacciano nuovi competitor, i più temibili sono i discount di nuova generazione –afferma Stefano Bassi, Presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori)- Le nostre cooperative sono impegnate nel consolidare i risultati positivi delle gestioni caratteristiche  e continuare i processi di ristrutturazione, là dove necessario, per ritornare a produrre ricchezza e quindi sostenere politiche di convenienza per i consumatori. Oltre a evitare l’aumento dell’Iva è urgente favorire il reddito della parte più debole del Paese con la detassazione del lavoro e con altre forme di sostegno. E a proposito dell’impegno di Coop sul versante della legalità delle filiere la lotta al caporalato sul cui rafforzamento si è espresso nei giorni scorsi il vicepresidente Di Maio è un atto di civiltà che condividiamo e in questo senso accogliamo favorevolmente la volontà del ministro Centinaio di convocare quanto prima la distribuzione al tavolo di confronto. Sempre su questo fronte è necessario però che si inizi a attuare i necessari distinguo ed è corretto che lo faccia anche il presidente di Coldiretti. Coop sostiene buone pratiche nell'interesse dei produttori e dei lavoratori occupati nel mondo agricolo e non dall’altroieri. Quanto all’ambiente guardiamo con favore all’annuncio di una legge per salvaguardare il mare dall'inquinamento da plastica e chiediamo al ministro Costa di dare seguito concreto. Noi stiamo facendo esperienze importanti in questa direzione. In Toscana il progetto “Arcipelago Pulito” partito a aprile ha già raccolto 16 quintali di rifiuti”.

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