Don Ciotti: la speranza non è in vendita
Marzo 2013. Quest’anno per Natale una società di consulenza (MBS, Antonella Altavilla) ha avuto l’idea di regalare un libro di don Luigi Ciotti (La speranza non è in vendita, Giunti-Edizioni Gruppo Abele). È un libro veloce, fatto di pensieri e piccoli scenari, tra denuncia e proposta, raccontati da un sacerdote che è sempre stato in prima linea con Libera in questi anni nella lotta alle mafie ma in un modo del tutto particolare: coordina l’impegno di oltre 1.600 realtà in Italia, attive nel contrasto alla criminalità organizzata e nella promozione di una cultura della legalità e della responsabilità.
I temi trattati spaziano fra le diseguaglianze, i migranti, solidarietà e diritti, Democrazia, Costituzione, Mafie, Chiese che interferiscono, legalità, educazione e responsabilità, speranza.
A giudizio di RetailWatch alcuni passaggi svolti da don Ciotti sono utili per una discussione più ampia sui temi economici e sociali che stanno cristallizzando la politica italiana e lo sviluppo economico.
“Vista dalla strada la crisi riguarda le condizioni di vita, sempre più difficili delle persone –sottolinea don Ciotti. L’economia ha le sue leggi e i suoi saperi. Ma se non servono a migliorare le condizioni di vita delle persone, sono leggi e saperi inutili. Il lavoro, quando c’è, è privato del suo ruolo sociale e della dignità, anche simbolica, che ha avuto finchè è stato riconosciuto come elemento essenziale della nostra dignità. Ma un lavoro subordinato al profitto, ridotto a mezzo per garantire la ricchezza di pochi e –nella migliore delle ipotesi- la semplice sussistenza degli altri, impoverisce la vita individuale e quella sociale. Insieme alle relazioni umane il lavoro è alla base della nostra identità. Senza il rispetto delle attitudini, delle passioni e dell’intelligenza delle persone, il lavoro non contribuisce alla costruzione di una società, ma al massimo produce aggregazioni, dove ciascuno trova posto (quando lo trova) non in base alla sue capacità ma alla sua funzionalità, valutata secondo principi di pura e semplice convenienza economica.
È il meccanismo che ha governato la cosiddetta flessibilità, concetto per cui per anni si sono giustificate le leggi –loro si inflessibili- del mercato: la disponibilità delle persone ad adattarsi alle attività più disparate senza garanzie contrattuali e senza la possibilità di fare del lavoro il nucleo intorno a cui costruirsi sicurezza materiale e dignità sociale”.
Insomma: cittadini senza diritti, consumatori senza consumi.