Eataly cambia pelle, accelerando sulla MDD

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Eataly è nata grazie all’intuizione di Oscar Farinetti, valorizzando i marchi e le storie dei piccoli produttori. Cos’è cambiato di recente e in quale direzione si prospetta vada il futuro della catena?

Quando Farinetti aprì il primo Eataly, lo scetticismo fu molto. Il patron di Unieuro, infatti, stava sostanzialmente sfidando alcuni concetti cardine del food retail.

L’analisi del business, quella che secondo Oscar Farinetti (per chi ha letto i suoi libri), non va mai sbagliata, era semplice. Per stare “economicamente in piedi” ed appagare il cliente non serviva vendere necessariamente prodotti di marca (come i supermercati) o a prezzi bassi (come i discount). Bastava, invece, valorizzare le produzioni artigianali, recuperare i piccoli marchi storici nazionali e saper raccontare la loro storia di modo da convincere i clienti a pagare qualcosa in più (un altro mantra di Farinetti è “fare e far sapere“).

La scommessa di Farinetti: Non servono necessariamente IDM e prezzi bassi per ottenere buoni risultati nel mercato del food retail

Fu così che Farinetti cominciò spesso ad acquisire partecipazioni nelle aziende di produzione (es. Pastificio Afeltra) i cui prodotti si trovavano in vendita nei suoi negozi.

L’operazione di comunicazione alla base del modello “Eataly” ha portato, in effetti, i consumatori a riscoprire i prodotti locali di tutte le regioni italiane e i marchi a cui, da tempo, non veniva dato il giusto risalto.

Molti piccoli produttori, non potendo pagare per la pubblicità nazionale o incentivare la GDO ad inserire a scaffale i propri prodotti, hanno cominciato ad affluire negli assortimenti di Eataly, non solo nel nostro Paese ma anche nel resto del mondo, potendo contare, dunque, su un partner che fungeva inoltre da esportatore dell’eccellenza italiana all’estero.

Il modello di Eataly, ovvero trattare un assortimento di prodotti premium, con prezzi €/Kg tendenzialmente superiori a quelli applicati presso la GDO convenzionale, si associa, solitamente, a qualche criticità. Ad esempio, le rotazioni a scaffale degli articoli possono spesso rivelarsi lente e ciò porta ad avere un’immobilizzazione finanziaria (lo stock) rilevante.

Nel tempo, il consumatore ha capito che a volumi bassi (produzioni artigianali) non sempre si lega una qualità superiore. Ci sono, infatti, molte piccole imprese artigiane che, sia a livello di gusto che di materie prime impiegate, raggiungono performance qualitative inferiori rispetto alle grandi aziende produttrici. Pensiamo, ad esempio, a un fatto semplice: lavorare con quantità esigue (artigiani) può significare avere un basso potere d’acquisto e, quindi, non riuscire ad imporsi sui fornitori di materie prime affinché garantiscano una certa qualità. I numeri contano anche nell’alimentare, dopotutto.

Tale situazione, laddove la qualità percepita tra un prodotto artigianale ed uno industriale sia la stessa (o peggio, qualora il secondo risulti in vantaggio) non porta nulla di buono per chi vende i già citati articoli di nicchia.

È, dunque, fondamentale, per un business come Eataly ottimizzare il proprio assortimento, eliminando i prodotti non performanti di cui sopra, per assicurarsi di mantenere sullo scaffale referenze che riescano a tenere il proprio prezzo di vendita.

Negli anni, Eataly ha aperto in tutto il mondo con successo, soddisfacendo la richiesta di prodotti italiani freschi, secchi e cotti (attraverso il comparto ristorazione).

In cosa consiste, dunque, il grande cambiamento?

È davvero difficile sponsorizzare con successo tutti i marchi (esclusivi o meno) che si trattano in assortimento. Un’operazione che però si rende necessaria quando, non trattando l’IDM, la pubblicità bisogna sostenerla da sé quasi in toto.

È anche per questo che i supermercati (approfondiremo l’argomento in altri articoli) utilizzano il marchio insegna per la maggioranza dei propri prodotti MDD.

In questo senso, l’insegna si fa brand e, visto che, come ogni brand, viene sostenuta da importanti investimenti pubblicitari, è opportuno che sul prodotto sia presente, di modo che tali investimenti possano portare i propri frutti traducendosi in un’accelerazione delle vendite dei prodotti a marchio.

Il discount “sfugge” in parte a questa logica perché la sua leva più importante di marketing è la convenienza, non il marchio del singolo prodotto. Se andando da Lidl, EuroSpin o MD, risparmio considerevolmente rispetto a fare la spesa in un supermercato convenzionale, il brand passa in secondo piano.

Oggi, poi, tale pregiudizio si è, di fatto, estinto ma, per molti anni, comprare al discount risultava ghettizzante e, per questo, i clienti preferivano che i prodotti non venissero associati al marchio del negozio di provenienza. Oltre a ciò, dato che la quasi totalità dell’assortimento discount è MDD, mettere il marchio in evidenza, come elemento grafico principale, su tutti gli articoli trasformerebbe il negozio in un monotono showroom del marchio-insegna.

Eataly, dunque, ha scelto di uniformarsi alla strategia in atto presso i supermercati, lanciando la linea “Firmati Eataly“, ovvero una selezione di prodotti a marchio dell’insegna. In tal modo, il brand viene “calato” sugli articoli con lo scopo di incentivarne la vendita.

Il caso di Eataly è particolare perché i prodotti firmati, con ogni probabilità (vedendo il posizionamento prezzo) svolgeranno la doppia funzione di referenze a marchio insegna e prodotti premium. In questo, in GDO la tendenza è opposta, ovvero si tende a dedicare una linea al marchio premium (es. Gastronauta, Fior Fiore, Sapori & Dintorni, Saper di Sapori etc.) e a posizionare il marchio insegna ad un prezzo competitivo.

Sicuramente per l’estero o per i luoghi ad alto traffico turistico (stazioni, aeroporti, località di mare) la scelta di Eataly può rivelarsi centrata. Per l’Italia, invece, avremo occasione di vedere cosa riserva il futuro.

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