Il salumificio halal italiano: Scarlino

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Il salumificio halal italiano: Scarlino

Novembre 2012. Nella tradizione islamica, il termine halal indica tutto ciò che la Sharia reputa accettabile nel comportamento, nell’alimentazione, nell’abbigliamento.
In Occidente, si riferisce ad alimenti, farmaci e cosmetici prodotti secondo regole eticamente ed igienicamente lecite per la Legge Divina, che riguardano tutta la catena del valore, dall’approvvigionamento al trasporto.

Secondo il World Halal Forum, il fatturato globale del mercato halal si aggira sui 600 miliardi $. Sono halal la birra non fermentata, il profumo senza etanolo, il tonico viso privo di acqua distillata, la carne realizzata nel rispetto delle condizioni di macellazione dettate dal Corano, secondo cui l’animale deve essere stordito in locali e con utensili non haram (proibiti), deve essere cosciente al momento dell’uccisione, procurata recidendo trachea ed esofago, deve essere bendato, per non vedere il coltello del macellaio, musulmano.

In Italia il segmento delle carni halal segna un +15% circa (sett.’12, Halal Italy). A soddisfare le esigenze di 2,5 milioni di consumatori musulmani sono le importazioni francesi, le produzioni musulmane e quelle di pochi salumifici italiani. Tra questi, Scarlino emerge per differenziazione e branding.
L’azienda salentina ha puntato molto sul valore della “liceità” proponendo, prima in Italia, un’intera linea di wurstel halal, di pollo, certificati Halal Italia.
L’azienda comunica bene questa innovazione di prodotto, che è anche un’innovazione culturale: ottima la scelta del font “arabeggiante” sui pack dei 4 gusti (Original, Kebab, Cous Cous e Curry) e buona la scelta dello slogan un po’ orientale “Mille e una ricetta” sui poster destinati ai pdv.

Punti di debolezza
Scarsa visibilità sui media, che non è tuttavia necessaria, trattandosi di una linea ampiamente conosciuta dal target, perché una delle poche.
Punti di forza
Prezzo in  linea con la media di mercato (circa 1,99€).
No grandi competitor, e stupisce che nomi come Fiorucci e Beretta non abbiano – ancora – sfruttato quest’opportunità di business.

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