In Autogrill è possibile trovare articoli che riportano il bollino “virale” sul proprio packaging. Si tratta di una certificazione di popolarità sui social che punta a rendere più appetibili i prodotti presso un determinato target di consumatori.
Fermandosi presso alcune aree di servizio Autogrill è possibile imbattersi in un espositore del prodotto The Original Gourmet Dubai Chocolate, pieno di tavolette del famoso prodotto con riportato il bollino “Viral”.

Un colpo di marketing centrato?
Su RetailWatch, per la nostro rubrica Viral Friday, abbiamo spesso scritto di prodotti che, nel tempo, hanno acquisito una certa popolarità nell’ambito dei social network. Parliamo di articoli come “Dubai Chocolate: analisi del trend“, “Lecca-lecca musicali asiatici: si tratta di un prodotto rivoluzionario?” o “Cos’è il caffé di dattero?“.
I prodotti che diventano famosi sui social network generalmente vengono molto ricercati dai clienti che ne esauriscono rapidamente le scorte facendone schizzare i prezzi alle stelle. Inoltre, di solito le industrie si affannano per crearne gustose versioni diverse da vendere ai consumatori per incrementare il proprio fatturato.
Se guardiamo al solo fenomeno Dubai Chocolate, ormai tra le referenze che ne richiamano il gusto troviamo creme, budini, gelati, barrette e molto altro. È chiaro, quindi, che un articolo “virale” può generare impatti rilevanti sull’economia di una determinata categoria merceologia.
La domanda che ci poniamo, però, è: “Ha senso comunicare tale caratteristica sul packaging?“. Prima di rispondere bisogna chiedersi quale sia il significato del termine “virale”, ovvero sapere quanti utenti devono aver visto o parlato di un determinato prodotto prima che lo si possa considerare effettivamente famoso presso il pubblico dei social.
Google, attraverso Oxford Languages, ci dice che un video, ad esempio, può considerarsi virale solo dopo essere stato condiviso in rete da “milioni di utenti”. Un’altra definizione però riguarda la velocità di diffusione, la quale dev’essere sostenuta, dandole priorità rispetto alla numerica di condivisioni. Potremmo, quindi, riscrivere il significato del termine come segue: “Virale è un contenuto che viene condiviso, rapidamente, da milioni di utenti attraverso le piattaforme online“.
Stando così le cose, dunque, comunicare sul packaging la viralità di un prodotto potrebbe apparire superfluo perché, di fatto, tale articolo dovrebbe essere già largamente noto, proprio in virtù del successo riscontrato in rete. Facendo un’analogia, si può dire che riportare “virale” sulle confezioni sia un controsenso, esattamente come scrivere “famoso” sulla foto di un attore di Hollywood.
La realtà è che i social network dove originano molti prodotti virali sono prevalentemente TikTok ed Instagram, il primo di matrice cinese, il secondo americana. Sulla piattaforma asiatica, solo il 14.1% degli utenti ha più di 45 anni mentre il social a stelle e strisce vede la pancia dei propri fruitori negli intervalli 18-24 anni (23.1%) e 25-34 (23.9%) con un’età media intorno ai trent’anni circa.
È chiaro, quindi, che riportare la dicitura “virale” su un prodotto ha un obiettivo preciso, ovvero comunicare ai clienti più maturi (45+) che un determinato articolo ha riscosso molto successo online. Si tratta di una mossa intelligente per dialogare con clienti appartenenti a fasce di età generalmente meno presenti sui social.
In RetailWatch continueremo a monitorare i casi in cui le confezioni dei prodotti dovessero riportare notizie, dettagli o espressioni che nascono in rete per poi diffondersi anche nel mondo offline.

