Travis Kalanick, il miliardario fondatore di Uber, ha investito in un’azienda che si occupa di costruire delle Ghost Kitchen la quale, nel 2021, valeva già 15 miliardi di dollari. Quello delle “cucine intelligenti” è un business model redditizio o si tratta dell’ennesima chimera?
In RetailWatch siamo molto attenti ai business model costruiti sulla base dell’eCommerce, tra opportunità e limiti strutturali che è bene conoscere per evitare di “farsi male”, buttando denaro in attività le quali, in fin dei conti, spesso non presentano sufficienti ritorni sull’investimento.
Abbiamo trattato approfonditamente questi temi in vari articoli come “Tutte le grane di Cortilia & Affini” e “Cosa non abbiamo capito dell’eCommerce“, tra gli altri. Oggi, invece, ci concentriamo sul fenomeno delle Ghost Kitchen o Dark Kitchen, a seconda di come le si vuole chiamare.

Si tratta di cucine non aperte al pubblico che preparano pasti destinati esclusivamente alla consegna a domicilio. È una modalità operativa che, almeno sulla carta, presenta dei chiari vantaggi perché, per far funzionare una Ghost Kitchen non serve investire in alti canoni di locazione. Si può infatti cucinare anche in luoghi con poco traffico pedonale, rimasti magari sfitti da molto tempo.
È poi possibile testare la valenza commerciale di alcuni piatti appoggiandosi presso una cucina già allestita ed avviando il servizio di delivery per vedere se “il gioco vale la candela” ovvero se i clienti ordinano l’offerta proposta, a quali prezzi e con quale frequenza.
Forse il personaggio più noto ad aver investito in sistemi di Dark Kitchen è Travis Kalanick, fondatore ed ex amministratore delegato di Uber che ha portato la sua azienda di “cucine intelligenti” Cloud Kitchens a valere 15 miliardi di dollari già nel lontano 2021.
CloudKitchens sta costruendo infrastrutture per la ristorazione, concentrandosi su Ghost Kitchen e tecnologia per il food delivery. L’azienda acquisisce e riqualifica immobili sottoutilizzati per creare spazi cucina condivisi da far usare a società di ristorazione focalizzate sulla consegna a domicilio.
Un problema di modello
L’idea di Kalanick può avere senso perché, sostanzialmente, rientra più nel perimetro del mercato immobiliare che in quello della ristorazione ma la domanda che ci poniamo è: “Ha senso gestire una Dark Kitchen?”
Per rispondere a questo interrogativo bisogna conoscere le dinamiche del mercato alimentare perché, altrimenti, si rischia di associare il food delivery a tutti gli altri sistemi di consegna a domicilio che coinvolgono merceologie profondamente diverse dal cibo, oltre che tra loro.
A tal proposito, bisogna dire che in città quali Milano, Roma e Napoli abbiamo riscontrato come, di fatto, il risparmio sulle locazioni, premessa fondamentale per questo business, non sia così considerevole. Ciò accade perché al fine di consegnare pietanze appena fatte e, possibilmente, calde, il luogo di preparazione e quello di destinazione devono essere tendenzialmente vicini. Questo significa che raramente potrò consegnare presso un facoltoso quartiere residenziale del cibo senza avere un locale di produzione in zona il cui affitto, con ogni probabilità, non sarà economico.
È sì perché, nel caso dei prodotti deperibili, la questione logistica la fa sempre da padrona. Non si tratta di cellulari, vestiti o mobili i quali, non subendo il deterioramento in tempi brevi, possono sopportare tratte più lunghe e tortuose. Sull’alimentare e, in particolare, nella ristorazione, tutto il processo diventa più delicato.
Sicuramente esiste un piccolo risparmio relativo agli affitti perché i locali delle Ghost Kitchen magari non si affacciano sulle strade migliori, ma spesso tale beneficio non sopperisce tra l’altro la mancanza di clienti che, vedendo il locale, vi “cadono” dentro portando prezioso fatturato in cassa come accade invece per i ristoranti tradizionali.
Sia a Napoli che a Roma, ad esempio, mi è capitato di vedere delle Dark Kitchen aprire le porte al pubblico perché i gestori non volevano rinunciare alle vendite “gratuite” generate dal semplice passaggio pedonale, per quanto limitato fosse.
I costi fissi della ristorazione sono estremamente elevati. Le sole spese per il personale spesso superano il 35% delle vendite, per non parlare dei costi relativi ad utenze, imballaggi, servizi e molto altro. È chiaro, dunque, che in diverse situazioni il fatturato generato con la consegna a domicilio non basta da solo a ripagare le spese. Sicuramente, durante la pandemia da Covid19 questi modelli di food delivery hanno ottenuto un discreto successo ma, oggi, gli scogli incontrati per lo sviluppo della cifra d’affari sono molteplici.
In un articolo dal titolo “Alla ristorazione serve il Retail. Ecco perché” segnalavamo poi un altro tema, ovvero quello dei rincari applicati dai ristoranti a partire dal 2020 che, in alcuni casi, hanno toccato il +80/100%. In tale situazione, acquistare un piatto di alta cucina dovendo sostenere anche l’aggravio della consegna può risultare proibitivo per molte famiglie.
Ma quindi: Conviene gestire Dark Kitchen?
Possiamo dire, quindi, che le Ghost Kitchen sono ottime se si vuole provare a testare il mercato con un nuovo stile di cucina, verificando la capacità che un certo tipo di offerta ha di generare ordini online in un determinato periodo limitato di tempo ma, come modello di business, rischia di presentare più rischi che opportunità.

L’esperienza delle Dark Kitchen, ad ogni modo, ci insegna che per supermercati e ristoranti, ampliare l’offerta di delivery orientata a prodotti ready to heat e ready to eat, comodi quindi nel caso li si volesse consumare subito o in un secondo momento, è certamente consigliabile. Ciò anche in virtù del fatto che, in linea generale, le persone hanno sempre meno tempo da dedicare alla preparazione di pietanze elaborate.
Le attività su strada già avviate possono sfruttare la predisposizione dei clienti all’acquisto online senza dipendere però totalmente da questo segmento di business il quale, come abbiamo visto, spesso non basta da solo a garantire la giusta profittabilità. Inoltre, i ristoranti ed i supermercati già citati possono mantenere i prezzi competitivi poiché una grande parte dei propri costi di gestione sono già ammortizzati dalle vendite generate in modo tradizionale.
In RetailWatch continueremo a monitorare il mercato delle Ghost Kitchen per verificarne e commentarne gli sviluppi, sia in Italia che in altri mercati europei ed extraeuropei. Particolarmente interessante sarà vedere se il modello subirà delle evoluzioni, concentrandosi magari su un’offerta diversa rispetto a quella odierna.

