L’IDM favorisce i discount?

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Da anni si parla di referenze MDD discount, prodotte e fornite dall’IDM, praticamente uguali alle rispettive controparti iconiche. Quali sono i rischi di tale approccio commerciale per le Grandi Industrie? Lo approfondiamo utilizzando come spunto il commento di un utente.

La riflessione che porta a questo articolo, in realtà, nasce molto tempo fa, da osservazioni fatte sul campo nel corso degli anni quando, analizzando prodotti MDD discount si scopriva che, di fatto, tali articoli erano realizzati in molti casi dalle stesse aziende dell’IDM, con ricette analoghe o molto simili a quelle dei prodotti commercializzati con brand famosi.

L’unica differenza risiedeva nel prezzo, basso per i prodotti MDD e molto più elevato per gli stessi articoli (o quasi) contraddistinti da loghi noti.

Qualche giorno fa, un utente LinkedIn molto seguito ha pubblicato sul social il post qui sotto, lamentando appunto il fatto che due acque, sostanzialmente identiche, imbottigliate dalla stessa società, venissero vendute a prezzi completamente differenti presso discount (con un logo di fantasia) e supermercati (con un marchio noto).

Il post ha ricevuto diversi commenti e reactions, come visibile dalla già citata foto, perché solleva diversi interrogativi.

Dove risiede il valore di un prodotto?

In generale, il valore di un prodotto lo si trova in due ambiti:

  • Composizione. Qui parliamo delle materie prime, della bontà dei processi produttivi, delle tecniche di produzione etc.
  • Brand. Il marchio rappresenta la rendita su investimenti riusciti, effettuati in fidelizzazione e comunicazione.

Chi gode di un brand riconosciuto, per i grandi investitori come Warren Buffet, possiede un rilevante vantaggio competitivo.

Se, ad esempio, il cliente, entrando in un bar, chiede Coca-Cola invece di Cola X è perché il brand, in quel momento, sta restituendo all’azienda gli investimenti sostenuti in pubblicità e fidelizzazione.

Quel cliente chiede Coca-Cola 1) perché la conosce dalla pubblicità mentre, magari, non sa neanche dell’esistenza di Cola X, 2) perché sa che è buona, grazie agli investimenti di The Coca-Cola Company utili al fine di ottenere un prodotto fidelizzante, originale, uniforme e gustoso, 3) perché sa che è disponibile. I bar, infatti, sapendo che i consumatori la chiederanno per i motivi 1) e 2), la comprano preferendola ad altri brand meno noti.

La rendita che il Brand paga a The Coca-Cola Company non si limita a far preferire i prodotti dell’azienda a quelli della concorrenza. Infatti, in virtù della notorietà e del gusto riconosciuto (ricetta originale) della nota bevanda, il consumatore è disposto a pagare per tale prodotto un premium (sovrapprezzo) che, invece, non pagherebbe con altrettanto entusiasmo per altre Cole X.

Come si distrugge il valore?

Nel mondo dell’alimentare, intaccare il rendimento del Brand è molto semplice. In questo settore, infatti, la composizione dei prodotti è sempre più trasparente ed è diventato abbastanza facile per i distributori avvicinarsi al gusto di referenze molto note attraverso le loro MDD.

In tale scenario, la mossa peggiore che l’IDM può fare è quella di produrre un articolo MDD con la medesima composizione dei propri prodotti noti.

Questo comportamento rende evidente, all’occhio del consumatore, il sovrapprezzo dovuto alla sola notorietà del brand, derivata dagli investimenti pubblicitari, dato che l’articolo MDD in termini di composizione e, quindi, di gusto, è il medesimo.

Quando il consumatore decide di non pagare più il premium, associandolo al solo marchio e non ad un gap di gusto/qualità, il rendimento del brand cala, insieme alla redditività dell’IDM che si basa in larga parte sul riacquisto frequente degli articoli a margine maggiore da parte del consumatore.

L’importanza della frequenza di acquisto per i Brand Food

Per l’IDM, intaccare la forza (rendita) di un Brand è molto pericoloso perché, una volta perso il consumatore, è difficile riconquistarlo.

Ciò accade perché la spesa si fa a livello quotidiano o, comunque, settimanale e risparmiare magari il 20/30% su alcuni articoli significa diminuire sensibilmente il costo del carrello medio. Trovare, in sostanza, un’alternativa all’IDM con il medesimo gusto ad un prezzo decisamente più basso, porta il cliente a non scegliere più di tornare al prodotto noto, economicamente più oneroso se acquistato con una certa regolarità.

Per altre merceologie, questo effetto si nota di meno. In alcuni segmenti della moda, ad esempio, dovendo effettuare acquisti saltuari e non regolari, si può scegliere di pagare di più per un marchio noto a parità di qualità proprio perché si sa che si tratta di un esborso una tantum. Nel food, invece, ciò non avviene per le logiche sopra esposte.

Un consiglio per l’IDM

L’azienda di supermercati furba 1) compra tutti i prodotti dei discount, 2) ne decodifica i produttori e 3) prende nota di tutte le aziende IDM che, di fatto, commercializzano presso il formato di convenienza i loro stessi prodotti iconici, vestiti però con marchi di fantasia venduti a prezzi molto più bassi. A questo punto, tale azienda, solitamente negozia con l’IDM in modo aggressivo per ottenere pesanti sconti.

Il consiglio all’IDM, a questo punto, è quello di tenersi strette le proprie ricette, evitando di svalutare il marchio su cui hanno investito, fornendo ai discount prodotti identici a quelli iconici che, in tale format, vengono venduti a prezzi molto più bassi.

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