L’ipermercato perde perché è omologato al super?

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L’ipermercato perde perché è omologato al super?

Dicembre 2015. L’ipermercato muore per asfissia, da sé stesso. Consultando le ricerche comportamentali (Doxa, GFK, Censis, Nielsen, IRi) delle persone siamo arrivati a questa conclusione. Vi spieghiamo perché.
 
Nell’ordine decrescente le persone intervistate dichiarano quasi sempre:
. i prodotti, i brand sugli scaffali sono eguali a quelli dei supermercati,
. i prezzi sono simili a quelli dei supermercati,
. le promozioni anche,
. gli ipermercati sono troppo grandi,
. i tempi per fare la spesa, per i banchi a servizio e per pagare si allungano sempre,
. c’è sempre confusione.
 
Lasciate perdere se la vostra percezione di mercato è diversa, il consumatore si esprime in questo modo lapidario e conviene ascoltarlo.
 
Prendiamo il primo item, i prodotti e i brand sono eguali a quelli del supermercato. Negli ultimi anni sono state eseguite (a giudizio di RetailWatch) due pratiche negative:
. la differenziazione di peso-formato dei prodotti,
. la sgrammatura per guadagnare nuova marginalità.
La differenziazione di peso-formato non tiene conto che i consumatori, soprattutto per i grandissimi brand, pensano al brand stesso più che al peso del prodotto che sta comprando. Il can da 33 cl della Coca Cola è sempre lo stesso anche se da un cluster da 6 si passa a un cluster da 4, o se da 33 cl si passa a 500 cl o a 1 litro. Le persone hanno in mente di comprare la Coca Cola, in primis e poi il contenitore. Lo stesso vale per la Nutella, la pasta Barilla e via dicendo. Sono operazioni di ripiego nelle quali confidano più i manager dei consumatori. Per molti brand non servono poi azioni di contrasto con le marche del distributore: è quasi sempre tempo e risorse persi.
 
Differenziare la differenziazione
La differenziazione passa invece da una politica seria di differenziazione delle marche del distributore che devono essere in grado di anticipare bisogni latenti del consumatore (es: oggi l’imperativo è vegano, ma i negozi specializzati per vegani si sono moltiplicati e le vendite nella GD stentano). Bisogna insomma imparare a vendere più che acquistare, anche se le politiche di acquisto sono importantissime per raggiungere margine e utile netto previsto.
 
È chiaro che continuando l’attuale congiuntura basata su: prima bisogna acquistare bene-poi bisogna aumentare la pressione promozionale-poi bisogna aumentare il peso del volantino, lo scoglio della differenziazione non sarà superato.
 
 
In promozione sempre le stesse categorie
Oltre al potenziamento e all’innovazione delle marche del distributore, l’ipermercato avrebbe un radioso futuro nei freschi e nei piatti pronti, a patto che scelga davvero la via del localismo e della specializzazione. Prendiamo il caso della gastronomia: molti piatti pronti sono fatti industrialmente da pochi produttori, basta osservare con attenzione i prodotti per accorgersene, addirittura il tipo di presentazione e il visual è molto simile fra insegna e insegna. Probabilmente mancano produttori in grado di soddisfare le richieste di mercato ma il risultato è che molti assortimenti si somigliano davvero.
 
Come si somigliano i prezzi. La forbice di differenziale fra supermercato e ipermercato non è mai stata tanto vicina, dicono sempre le ricerche. Il fatto è dovuto alle politiche di pricing dell’IDM, ma anche alla pressione promozionale che, negli ipermercati è si del 35%, ma sempre nelle stesse categorie merceologiche da anni. Il consumatore le nota e quando deve comparare compara la sua personale lista della spesa, non di certo le stesse categorie sulla breccia commerciale da anni.
 
E comunque, alla fine della fiera, bisogna ricordare che la tipologia di vendita è sicuramente in perdita, ma diversi ipermercati ancora guadagnano, eccome se guadagnano.
 

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