Luci e ombre nel food, un settore chiave dell’economia. Ci vuole un piano di lungo periodo

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Settembre 2020. L’industria alimentare guarda al fine anno con forti preoccupazioni. Lo evidenzia il Rapporto L’industria alimentare italiana oltre il Covid-19 – Competitività, impatti socio-economici, prospettive redatto da Nomisma per Centromarca e Ibc, presentato dalla società di ricerche. Per effetto delle dinamiche innescate dal lockdown (tra cui il sostanziale blocco dell’Horeca, i cui consumi valgono il 34% del totale food&beverage Italia) e delle incertezze legate all’evoluzione dell’emergenza sanitaria, solo il 20% delle aziende prevede nel 2020 un incremento del fatturato in Italia e all’estero. Per il 15% il turnover sarà in linea con l’anno precedente, mentre per il 62% l’anno si chiuderà con una contrazione delle vendite (superiore al 15% per il 38% delle imprese). I dati sull’andamento del giro d’affari confermano la previsione: -9,5% ad aprile (sullo stesso mese 2019), -5,8% a maggio e -1,1% sia a giugno che a luglio.

Un settore indispensabile con la crisi

Nomisma fotografa gli effetti del lockdown su un settore industriale di rilevanza strategica per il Paese, che contribuisce in modo importante al sostegno dell’economia nazionale e che – alla luce della propria anticiclicità – si rivela indispensabile nei momenti di crisi. L’industria genera il 20% del valore aggiunto della filiera alimentare. Tra il 2008 e il 2019 il valore aggiunto espresso dalle aziende di trasformazione è cresciuto del 19% (mentre la manifattura nel suo insieme si è fermata al 7%); l’occupazione del 2% a fronte di una riduzione del -13% del settore manifatturiero. Tra il 2009 e il 2019 le esportazioni sono aumentate a valore dell’89%. «Dovrebbe far riflettere che un settore, spesso portato a esempio di eccellenza, sia riuscito a crescere nonostante l’assenza di un reale disegno di politica economica che consentisse alle aziende di irrobustirsi, rinnovarsi e quindi di esprimere pienamente il loro potenziale competitivo», rileva Francesco Mutti, presidente di Centromarca. «Ora gli effetti dell’emergenza coronavirus si aggiungono alle criticità esistenti e diventa improrogabile il varo di un piano pluriennale che consenta al settore di sostenere la crisi e concentrarsi».

È stato penalizzato l’horeca

L’importanza dell’industria di trasformazione alimentare si è confermata nei primi sette mesi di quest’anno. In uno dei momenti più difficili nella storia dell’economia italiana, le vendite al dettaglio di prodotti alimentari (+3,3% rispetto al -17,6% degli altri prodotti rispetto al periodo gennaio-luglio 2019) hanno sostenuto anche l’attività della Grande Distribuzione (+4,4% contro un valore delle vendite complessive nello stesso canale del -4%) e delle piccole superfici (+3,9%), un format, quest’ultimo, che negli ultimi cinque anni ha costantemente registrato cali di fatturato. Anche sul fronte dell’export, i primi sette mesi evidenziano ancora un risultato cumulato positivo per l’alimentare italiano (+3,5%) a fronte di un crollo complessivo di tutte le esportazioni, pari al -14%, sebbene aprile e maggio abbiano registrato cali sensibili (rispettivamente -1 e -12%). «Le diverse modalità adottate nel mondo, nei tempi e nell’applicazione del lockdown, hanno determinato performance differenti nell’export dei nostri prodotti, penalizzando principalmente quelli venduti nel canale Horeca», sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma e curatore del Rapporto. «Si spiegano così, per esempio, il -4% nell’export di vino e, all’opposto, il +25% della pasta italiana o il -7,8% dell’export alimentare francese contro il +2,7% di quello spagnolo». L’indagine, che ha coinvolto 200 imprese del food&beverage italiano, ha evidenziato che il 42% degli esportatori lamenta comunque una contrazione sui mercati esteri e il 35% delle aziende teme, per il futuro, una perdita di posizionamento dei propri prodotti a causa di un maggior protagonismo delle imprese locali.

Come andranno gli investimenti

Negli investimenti prevale la prudenza. Prima dell’emergenza l’82% delle aziende ne aveva pianificati per quest’anno, ma mancanza di liquidità, difficoltà di accesso al credito e congiuntura negativa spingono ora il 38% delle imprese a rimodularli e il 31% a rinviarli. Il rimanente 31% prevede di mantenerli, destinandoli in particolare all’acquisto di impianti e macchinari funzionali al ciclo produttivo (86%), di nuove tecnologie (46%) e a ricerca e sviluppo di nuovi prodotti (39%).

Il Rapporto, edito da Egea, fotografa un comparto ancora polverizzato, costituito essenzialmente da imprese di piccole dimensioni, che affrontano con difficoltà il mercato globale. Meno di ottomila aziende su 56mila hanno più di nove addetti. Mancano strategie di branding, piani per l’internazionalizzazione, progetti per l’integrazione delle tecnologie digitali. «Per l’industria alimentare la priorità è crescere dimensionalmente senza perdere quelle caratteristiche di eccellenza che fanno la differenza sul piano competitivo», afferma Alessandro d’Este, presidente di Ibc. «Lo conferma il fatto che 49 realtà produttive, con un giro d’affari di superiore ai 350 milioni di euro, sviluppano il 36% del fatturato del settore, il 52% dell’export, il 34% del valore aggiunto e concentrano il 23% degli occupati».

Dall’Europa può arrivare una spinta positiva           

Coerentemente con questi obiettivi Centromarca e Ibc sono impegnate in un’ampia attività di sensibilizzazione delle istituzioni e degli stakeholders per stimolare il varo di un piano pluriennale che favorisca, in un contesto di forte attenzione alla sostenibilità, concentrazione delle imprese, innovazione tecnologica, investimenti ed efficienza dei passaggi di filiera in Italia e all’estero. «In questa fase sarà altresì importante prestare attenzione a quanto viene deciso a livello europeo», sottolinea Paolo De Castro, componente del Comitato Scientifico di Nomisma. «Nuova Pac, Green Deal, politica commerciale internazionale, sono solo alcuni dei grandi dossier in discussione a Bruxelles, dai cui esiti possono dipendere le sorti, o quantomeno lo sviluppo, di molte imprese agroalimentari italiane. A questi va aggiunta la Brexit, i cui ultimi sviluppi in seno al negoziato non sono molto rassicuranti e destano preoccupazione, considerando che si tratta del quarto mercato di export per il nostro food&beverage e che anche nei primi sei mesi di quest’anno siamo cresciuti di oltre il 4% a fronte di un aumento medio dell’intero export alimentare inferiore al 3%».

È dunque prioritario rafforzare la competitività delle imprese alimentari italiane e supportarle nel loro percorso di crescita al fine di garantire quel ruolo di traino economico e salvaguardia occupazionale che ha mostrato tutta la sua efficacia nei mesi più duri dell’emergenza da Covid-19, ma che rischia di essere messo a dura prova nei prossimi mesi.

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