PapaFrancesco: no allo sfruttamento del lavoro

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PapaFrancesco: no allo sfruttamento del lavoro

Dicembre 2014. “Non acquistare prodotti realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone”. È l’invito rivolto da Papa Francesco nel messaggio per la 48esima Giornata mondiale della pace, che sarà celebrata il 1° gennaio 2015, intitolato Non più schiavi, ma fratelli. Un’azione concreta, quella chiesta da Bergoglio per contrastare “l’abominevole fenomeno” della “sempre più diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo”, perché, come afferma Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate citata da Francesco, “acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”. Per il Papa, infatti, accanto al “dovere delle imprese di garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati”, ma anche “di vigilare affinché forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di distribuzione”, c’è anche la “responsabilità sociale del consumatore”. Di qui l’appello di Bergoglio a tutti gli uomini e alle istituzioni a “non rendersi complici” dello sfruttamento umano che sembra “abbia luogo nell’indifferenza generale”.
 
Una forte denuncia, quella di Francesco, che sottolinea che “ancora oggi milioni di persone, bambini, uomini e donne di ogni età, vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”. Il pensiero del Papa è per i tanti lavoratori, anche minori, “asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore”. Ma lo sguardo di Bergoglio è anche per i “migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente”. Per coloro che sono “detenuti in condizioni a volte disumane”, per i clandestini, e per “quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, per esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro, il ‘lavoro schiavo’”.
 

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