Sacerdote-Angeli: il ritorno alla bottega è possibile
Marzo 2014. Conosco Emanuele Sacerdote da molti anni. Ogni tanto mi chiama e ci incontriamo per una discussione sull’evoluzione del retail, alcune volte mi ha proposto la prefazione di un suo libro. A questa nuova richiesta ho risposto positivamente perché il suo continuo tormentarsi attorno ad un tema mi ha sempre incuriosito. È un tormento intellettuale, che non trova mai una risposta definitiva e questo si vede nel suo curriculum professionale e nei libri che ha scritto. C’è sempre un approfondimento che manca, un passaggio che non si capisce e che bisogna riprendere, una sfida da cogliere per raggiungere quell’obiettivo che ne annuncia subito dopo un altro. Se non fosse un uomo di marketing sarebbe un ottimo compagno per fare trekking o addirittura scalate.
Nel leggere il suo libro mi è piaciuto, come sempre, l’approccio strutturato. E il metodo che ha abbracciato, quello di leggersi puntigliosamente i questionari di una ricerca, uno per uno, per arrivare alla conclusione e alla sua tesi: l’avvento della bottega.
Dalla sua ricerca sugli artigiani, segnalo quindi la testimonianza di Giuseppe Amato, un vero e proprio manifesto per il ritorno alla Bottega:
Azienda: Giuseppe Amato
I ferri del mestiere. Un taccuino, una cartucciera per le penne a inchiostri grigi, un laboratorio di falegnameria con macchine utensili per realizzare i prototipi.
Categoria: ebanista
Località: Milano, Largo Richini 14
Marchi registrato: MinimumBook, Nautoscopio
Anno fondazione: 2000
Sito web: www.giuseppeamato.it, www.minimumbook.com
Vendite Diretta (bottega): si
Vendita on-line: si
1. Qual è la sua definizione di “qualità”?
Indica la misura delle caratteristiche di un prodotto artigianale e dei servizi, in confronto a quanto i clienti si attendono da questi.
2. Qual è la sua definizione di “tradizione”?
E’ la trasmissione nel tempo, in un territorio specifico, della memoria, delle usanze, delle ritualità e dei mestieri; anche nella trasmissione dei mestieri vale la pena di parlare di tradizioni orali, non scritte.
3. Qual è la sua definizione di “innovazione”?
E’ l’applicazione pratica di nuove scoperte o invenzioni. Perché avvenga innovazione è molto utile conoscere le tradizioni, nonché il concetto di qualità.
4. Qual è la sua definizione di “personalizzazione” del prodotto?
Fermiamoci a questa domanda del questionario che troverete al capitolo 4.
Ecco questo è il problema dell’introduzione, la domanda alla quale rispondere.
Dal fast allo slow
Le evoluzioni del web hanno portato a una globalizzazione del pensiero comune senza precedenti. Gli stereotipi che ne derivano vanno studiati con attenzione da chi si occupa di consumi e di retail: velocità, semplicità, immediatezza, esaustività, più possibilità di scelta sono alcuni degli item che contraddistinguono una risposta on line ad una domanda. Ogni domanda, è bene ricordarlo, nasce da un bisogno, da un desiderio. E aspetta una risposta. Ma non tutta l’economia reale rispetta il paradigma della velocità.
I bisogni e i desideri più complessi, soprattutto delle élite economiche e finanziarie, ma non solo, desiderano risposte sotto forma di prodotti e servizi, uniche, capaci di distinguersi. Molti prodotti e molti brand di massa sono quindi banditi. In questo spazio di idee e di mercato possono nascere nuovi prodotti e nuovi servizi. Il sociologo Francesco Morace lanciando l’associazione Nuovo Rinascimento incoraggiava anch’esso il ritorno alle botteghe rinascimentali, a prodotti e servizi che sono sempre esistiti, soprattutto in Italia, ma che sono stati travolti dalla globalizzazione, dalla standardizzazione, dai costi bassi, dal low cost, un trend che pare si sia fermato perché figlio indiretto della scarsa sostenibilità.
C’è spazio, quindi per prodotti fortemente locali, fortemente tradizionali, fortemente slow, capaci di farsi notare per l’estrema qualità prodotta. Dove? Ma qui in Italia, è chiaro, bisogna solo farli emergere, dar loro un volto preciso, un’identità rigorosa, creare un corporate brand corposo e, soprattutto un articolato piano di comunicazione.
Facciamo un esempio: le calzature. Sono pochi i brand radicati nel territorio, che sanno spiegare nel modo giusto e nel modo vero, la loro provenienza, partendo dalle materie prime.
Per rispondere alla domanda serve un calzolaio, uno che produca le scarpe, dalla scelta delle materie prime alle finiture ultime, poco importa se lavora da solo, in una cooperativa o in una piccola azienda. Quel che conta è la sua esperienza, il suo saper fare.
Un ulteriore esempio: il pane. Come l’esempio delle calzature conta il panettiere, chi sa usare il lievito madre, chi sa riconoscere a colpo d’occhio quel dato tipo di farina, chi studia i nuovi prodotti. Dove lavora? Per sè? In un piccolo panificio?
Saper fare
Non siamo ancora alla risposta da dare perché manca, come dice Sacerdote, bisogna associare il saper fare la professione al saper vendere, la bottega, appunto, la bottega, a sua volta del saper fare commercio, del saper intavolare una relazione, del sapere cosa vuole esattamente il cliente appena entrato, non tanto per rifilargli il prodotto più costoso, o la complementarietà con il miglior margine, ma costruire una relazione duratura, vera.
Le competenze necessarie sono quindi due:
. saper produrre,
. saper vendere.
La bottega è il luogo finale della filiera dove si concentrano questi due saperi.
E di botteghe ne esistono ancora e ne esisteranno soprattutto in futuro moltissime. Saranno legati a quei prodotti e a quei servizi slegati dai meccanismi dei mercati di massa che sono in grado però di valorizzare il prodotto e la sua qualità, e il suo prezzo.
Riprendiamo i casi concreti e pensiamo a un servizio: il su misura nell’abbigliamento. Il sarto, notoriamente produce capi su misura. Il su misura è stato esplorato, più o meno bene, più o meno sinceramente, da alcune industrie. Il su misura però ha necessità di una bottega per esprimersi al meglio. Sarà anche una grande bottega (di superficie), ma necessita di qualcuno che spieghi la qualità dei prodotti, delle materie prime utilizzate, dei particolari.
Esistono negozi on line che producono il su misura, anche con mirror touch. È, questa, una bottega? Non vorremmo troppo discriminare ma la risposta è lapidaria, non lo è.
La risposta di Giuseppe Amato, l’ebanista, potrebbe partire quindi proprio dalla bottega, il luogo dove il bisogno di personalizzare prende forma.
Emanuele Sacerdote ha quindi centrato nuovamente l’obiettivo di rendere attraente un tema e scriverne un libro. Certo la bottega, la nuova bottega, non sarà mai più il luogo polveroso, male illuminato che viveva nello stereotipo commerciale di qualche anno fa. È una bottega illuminata in tutti i sensi: illuminata su,
. il posizionamento,
. la location
. l’arredamento,
. l’informazione,
. le attrezzature,
. la relazione (fisica e on line) da costruire e mantenere,
. l’aggiornamento,
. il sistema di branding da adottare.
Un nuovo modo di fare retail, con al centro la cara e vecchia bottega. Bentornata Bottega.
Emanuele Sacerdote, Ritorno alla bottega, Franco Angeli, 18 euro