Social Card? Forse conviene non pensarci davvero

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Social Card? Forse conviene non pensarci davvero

Gennaio 2014. Alcune volte ritorna. E infatti il dibattito sulla social card è ricominciato. Riportiamo i passi con la quale ormai la social card è stata dichiarata indispensabile nella attuale dinamica dei consumi da Indicod:

SOSTENERE I CONSUMI DELLE FAMIGLIE MENO ABBIENTI
La privazione e l’esclusione sociale sono in crescita:

8 milioni di persone non possono permettersi  un pasto proteico adeguato ogni due giorni  (12%)

17 milioni di persone sono a rischio di povertà o esclusione sociale (28%)

25 milioni di persone non possono sostenere  una spesa imprevista di 800 euro (39%)
L’emergenza è arrivata dentro la classe media.
Proponiamo di introdurre una forma di sostegno specifico ai consumi di beni di largo consumo per le famiglie a basso reddito. Si tratta di una leva ampiamente sperimentata negli Stati Uniti (programma Food stamps), dove grazie a questo intervento su 21 milioni di famiglie (pari al 15% della popolazione) è stato possibile offrire un sostegno diretto all’acquisto di beni di prima necessità alle  famiglie che vivono in stato di privazione materiale e di disagio economico.
In Italia l’esperienza della Social card non basta: occorre allargare la platea degli attuali beneficiari (500mila famiglie nel 2011) ad almeno 3 milioni di famiglie con deprivazioni nutrizionali gravi.
Questa operazione avrebbe effetti positivi in termini sociali dati dall’effetto moltiplicativo dell’impatto della social card sul potere d’acquisto dei soggetti disagiati (al sostegno varato dal Governo si aggiunge l’effetto dello sconto proposto dalla filiera).
Ma anche effetti positivi sulla crescita, legati alla minore dipendenza dei consumi dai prodotti importati e alla possibilità di selezionare i beneficiari nei segmenti delle famiglie a basso reddito (abilitati dietro esibizione del modulo ISEE), quella parte di popolazione, cioè, in cui il soddisfacimento di bisogni primari, come l’alimentazione, assorbe una quota prevalente del reddito (tra il 30 e il 50%).

Senza nulla togliere alle ricerche sociali e di mercato (questa è di Ref Ricerche) ci permettiamo alcuni appunti:

Social card
Il nome (anche quello di Carta Acquisti) è davvero brutto, è ghettizzante, prefigura un sistema povero solo a sentirne parlare. Mi sembra che una buona agenzia di naming potrebbe aiutare che si sta cimentando in questa direzione. Ma non è solo un problema di nome e di immagine, c’è un problema di contenuti.

Dichiarare la social card
Gli investimenti a disposizione della social card potrebbero essere spesi in altro modo. È figlia della cultura della cassa di integrazione in deroga: ghettizza e non fa investimenti per migliorare le condizioni delle persone, rimanda il problema, approfittando dei soldi pubblici. Intanto il sistema frana e le persone stanno sempre peggio, oggi e in prospettiva. Andare alla cassa del supermercato dichiarando la social card poi, probabilmente, lo faranno in pochi. Nessuno vuole dichiararsi pubblicamente povero, soprattutto in mezzo a consumatori “normali”. Aggiungiamoci che è un’industria come tutte le altre e cioè che gli intermediari ci guadagnano e il quadro è quasi completo.

Chi promuove la social card.
È strano che la social card sia auspicata dalle aziende di Marca e della GD. Un’impresa succursalista, di supermercati o ipermercati, un’industria di beni di largo consumo, dovrebbero badare al proprio format, al proprio assortimento e al pricing, piuttosto che occuparsi di problemi sociali e delle loro soluzioni. Dovrebbero rispondere in modo adeguato, commercialmente parlando, all’avanzata del discount, che continua a erodere quote di mercato. Avete visto il carrello scaccia crisi di Lidl?. Dovrebbe badare all’efficienza e, se proprio vuole, ricavando da nuova efficienza nuove risorse, abbassare i prezzi davvero e andare velocemente verso l’every day low price, anziché sbandierare risparmi a favore del consumatore con una politica promozionale ormai arrivata al 28% che sta solo distruggendo ricchezza e sistema di filiera.

E purtroppo la ricchezza sta finendo. Bisogna diffondere positività e prezzi bassi, anziché cultura pauperistica: l’abbassamento dei prezzi, questo si, potrebbe aumentare gli acquisti e i consumi.

Ma davvero siete convinti della necessità della social card o carta acquisti che dir si voglia?

1 commento

  1. non è vero che tutti i distributori sono favorevoli alla social card, io, per esempio, sono contrario (e non per rimanere fermo allo stereotipo di distributore controcorrente). ( se lo stato vuole dare degli aiuti lo faccia, ma perche' marchiare di infamia questi soldi e costringerli a spenderli sono nei supermercati !!!!(lasci scegliere a me se spenderli al super o per comprare il gasolio per riscaldarmi per esempio ) Ma sapete cosa hanno in comune la social card,le linee di primi prezzi a marchio di fantasia, le zone discount all'interno di un super, la pressione promo al 50 % e l'elemosina all'angolo della strada : sono tutte operazioni fatte per salvarsi la coscienza e per poter dire : io la mia parte l'ho fatta,e non dipende da me, ma da qualcun altro, se le cose continuano ad andare male ! e sapete cosa accomuna questi comportamenti :la poca voglia di affrontare i problemi ( visto che per risolverli ci vuole coraggio, coerenza, capacita' di rimettersi in discussione, di rischiare , di perdere qualcosa ( se abbasso i prezzi i margini mi scendono, e poiche' non ho la capacita' di ridurre i costi, perche' dovrei tagliare delle cose, farmi dei nemici, etc etc : ma chi me lo fa fare … ) d'altronde gli esempi che ci arrivano dalla ns classe politica non sono tanto diversi, e quindi, perche' fare l'eroe !!!! povero paese ….

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