Tirelli-Popai: consulenti? Comandano i clienti

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Tirelli-Popai: consulenti? Comandano i clienti

Gennaio 2014. L’articolo che segue di Daniele Tirelli, presidente di Popai, doveva essere un post di risposta a tre altri post di Filippo Genzini, Andrea Carrara e  Livio Martucci, sull’articolo pubblicato da RetailWatch: “Ma i consulenti li leggono i dati?”.

Vista la profondità dell’articolo e l’attualità dell’argomento lo pubblichiamo integralmente e non lo riduciamo a un semplice post.

PREMESSA
Il titolo non è provocatorio, ma esplorativo. Se i consulenti hanno a disposizione e analizzano i dati relativi ai margini (intesi come pura differenza tra ricavo e costo del venduto di ogni referenza) perché non diffondono in forma del tutto anonima queste analisi al fine di far crescere la cultura di marketing? Abbiamo bisogno di analisi scientifiche, cioè (come in fisica e in biologia – vedi il caso delle staminali) di esperimenti riproducibili con dati disponibili a chiunque voglia analizzarli. Il nostro semplicissimo esercizio è verificabile in forma anonima da chiunque.

IL VALORE DELL’ANALISI.
Tutti conoscono il tema del “cigno nero”: basta un cigno nero per dimostrare che la teoria per cui “TUTTI i cigni sono bianchi” è falsa. Alias, se avessimo detto che per ogni classe di prodotto la massima profondità assortimentale è la soluzione corretta, la avremmo commesso lo stesso errore. Quindi NON E’ SEMPRE VERO che la riduzione efficientistica degli assortimenti è più profittevole.

IL TEMA DEI COSTI
In attesa di un contributo di un retailer che conosce la struttura dei costi, il punto resta insoluto. Chi ha detto che gestendo la “coda grassa” della distribuzione dei margini, i costi aumentano più che proporzionalmente? Dipende, … ma il sospetto è che per un retailer siano in prodotti leader che ruotano velocemente e che hanno un margine basso, quelli che generano più costi. Le specialità stanno nella coda e reggono alti prezzi. Occupano poco posto e non richiedono di sballare pallet in continuazione, … ma lasciamo rispondere ai retailer.

MARTUCCI
Cosa significa: “La curva di concentrazione è obsoleta”? Si tratta di una rappresentazione matematica e come i logaritmi o gli integrali non è nè vecchia nè nuova. La teoria dice che se le osservazioni si dispongono secondo una funzione lognormale o di potenza, allora non vale più la regola di Pareto secondo la quale il primo 20% di referenze genera l’80% di vendite ( e di margini). In breve, se in un periodo dato (corrispondente al tempo di rotazione del prodotto prima che diventi invendibile) si aggiungono referenze e queste si dispongono lungo una funzione di potenza, allora queste referenze generano profitti marginali aggiuntivi. Questo è il principio da cui partire. I fisici cercano sempre una spiegazione che richieda il minimo numero di variabili e complicano il modello solo se necessario. Anche gli assortimenti vanno spiegati partendo dai principi più semplici per affinare poi la spiegazione con ulteriori dettagli. Dunque se “i vincoli che un’insegna ha sull’assortimento sono talmente tanti e vari” bisogna specificarli uno a uno e spiegare quali effetti migliorativi hanno sulla spiegazione del fenomeno.

GENZINI
Coglie con acume il punto: “Da qui un duplice ordine di questioni relative al marketing. Da una parte il rischio di effettuare razionalizzazioni dell’assortimento eliminando prodotti acquistati solo dai clienti migliori. Dall’altra l’appiattimento dell’offerta se ci si concentra solo sui best seller e non si hanno linee di prodotti a marchio ed esclusivi caratterizzanti.” Chi semplifica gli assortimenti corre il rischio di incappare nel paradosso di un “test a una coda”. Conosce le reazioni di acquista, ma non conosce quelle di chi non acquista più! In più semplificare, cioè vendere quel che si vende è una strategia più facile da imitare da parte dei concorrenti che non quella di chi aumenta l’assortimento diminuendo il facing delle referenze e senza incorrere nelle mancate vendite per rottura di stock. Se è vero (ed è vero) che retailer americani come Whole Foods (vedi lo store di Columbus Circus a NYC) operano con margini del 45% e oltre 60mila referenze e senza “buchi negli scaffali” la soluzione sta nella loro bravura, non nella domanda degli shopper o in fumisterie sociologiche. Costi e ricavi sono come le lame di una forbice: possono aprirsi o chiudersi. Costco opera con 6000 referenze e margini dell’11% ed è un colosso inarrestabile da 90 miliardi di dollari. Sono due filosofie opposte al servizio, molte volte, degli stessi clienti.

CARRARA
Dice: “si potrebbero anche citare casi inversi in cui interi assortimenti o singole categorie strabordano di opzioni, senza né arte né parte, senza una logica chiara, se non probabilmente quella di ridurre il rischio della "non-vendita" Giusto. La logica dell’assortimento profondo quando funziona è globale e coerente. Se Wegmans (King of Prussia – Philadelphia) mettesse le sue 1200 birre e non esplodesse anche l’enoteca, le bevande dissetanti, la gastronomia non sarebbe la macchina da soldi che è. Gli USA ci insegnano che il posizionamento richiede appunto l’assoluta coerenza. I modelli europei “nè carne nè pesce” esportati negli States (vedi Fresh & Easy) non ce l’hanno fatta. Meno convincente l’osservazione di Carrara: “i migliori retailer, quando devono prendere decisioni sulla struttura di gamma, considerano nel calcolo anche le dimensioni relative a: i clienti (quelli top in particolare), il loro processo d’acquisto e la fedeltà all’insegna; il posizionamento e la brand equity dell’insegna”. … Clienti top, fedeltà, brand equity, ecc. parole, parole che andrebbero tradotte in termini operativi e contributi analitici quali-quantitativi aperti alla verifica di chiunque. … Ma in Italia un Journal of Marketing Research non esiste.

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