Il gelato si sta sciogliendo?

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Produrre gelato e venderlo direttamente al consumatore può non essere così profittevole. Lo testimoniano casi come quello del Magnum Store o dei punti vendita Grom. Anche in GDO però, le sfide per l’industria non mancano. Quali sono le caratteristiche del mercato e quali le potenziali soluzioni ai problemi storici del settore?

Anni fa, camminando per le strade di una piccola cittadina del New Hampshire, negli Stati Uniti, notai l’insegna di una piccolissima gelateria a pochi metri da un classico Diner americano, quei luoghi molto spartani che servono dalla colazione alla cena, mostrando generalmente una certa generosità nel fare le porzioni.

Rimasi colpito dal fatto che di gusti ce ne fossero solo tre, rigorosamente fragola, vaniglia e cioccolato. Pensai che, in Italia, quel tipo di gelateria avrebbe ottenuto scarso successo, abituati come siamo a vedere decine di gusti differenti.

Ovviamente, anche negli Stati Uniti, soprattutto col passare del tempo, sono arrivate gelaterie eccezionali ma fu in quell’occasione che cominciai ad interessarmi al business del gelato.

Un business dolce ma difficile

Il gelato è un prodotto che, per prima cosa, va refrigerato e come tutti i prodotti della categoria deve assorbire gli ingenti costi logistici e di stoccaggio previsti dalla catena del freddo.

A questo si aggiunge il fatto che si tratta di un prodotto tendenzialmente stagionale. È opportuno farlo presente perché tantissime aziende che producono esclusivamente referenze stagionali entrano ciclicamente in difficoltà finanziarie.

Pensiamo, ad esempio, a tutto il segmento delle ricorrenze che, negli anni, ha visto società produttrici di pandori, panettoni e colombe arrivare sull’orlo del fallimento per poi essere magari salvate da qualche gruppo o sopravvivere solo come brand e non come azienda.

In sostanza, quindi, parliamo di un business che comporta dei costi non sempre contenuti e che ha possibilità di sviluppare vendite particolarmente importanti solo in alcuni periodi dell’anno. Potremmo dire, infatti, che il momento clou del gelato ricada nel periodo maggio-settembre, almeno in Italia.

Questa condizione rende poi difficile per i produttori l’opera di verticalizzazione che consiste nel coprire anche le vendite dirette al consumatore con punti vendita dedicati.

L’immagine qui sopra, ad esempio, è quella di un Magnum Store, realtà ad oggi non più attiva in cui era possibile consumare il famoso prodotto di Unilever.

Per le industrie, verticalizzare consente di generare volumi in modo indipendente dalla grande distribuzione. È così possibile attivare un ulteriore canale di vendita che da un lato rende noti i prodotti presso la clientela di riferimento e, dall’altro, non dipende da terzi per essere sviluppato ma dalla stessa azienda produttrice.

Nel caso del gelato, però, non è così semplice. Oltre alla Magnum, infatti, anche Grom ha periodicamente chiuso delle gelaterie e non sempre è riuscita a rendere profittevoli i propri negozi.

Il rapporto con la GDO

Secondo i dati Circana, la categoria Freddo è una di quelle in cui la marca del distributore performa meglio, raggiungendo una quota superiore al 43%. Come abbiamo scritto in un altro articolo (a questo link) un’incidenza così elevata dell’MDD significa che il consumatore cerca principalmente il risparmio ed è disposto a rimanere meno fidelizzato ai brand.

Ciò avviene spesso anche per il gelato, segmento in cui si cimentano con successo tutti i distributori attraverso marchi come FiorFiore Coop, Sapori & Dintorni Conad, Gastronauta, Esselunga Top etc.

In tale contesto, rappresentato da un mondo di MDD ed aziende multinazionali dotate di marchi altamente fidelizzanti che difendono, anche loro, il proprio spazio, diventa complicato per un’azienda imporre il proprio brand sul mercato.

Non è poi scontato, nel comparto in esame, che ad un’elevata esposizione a scaffale corrispondano altrettante vendite e ciò a maggior ragione dopo la spinta inflattiva che ha seguito Covid e Guerra in Ucraina.

Pensiamo, ad esempio, agli stessi gelati Grom che, spesso, nonostante godano di un’ampia esposizione, non ottengono i risultati di vendita sperati dai retailer.

Lo stesso gelato Ferrero a marchio Nutella, lancio relativamente recente della casa piemontese, ha solitamente un prezzo al pubblico di 4.99€ per 230 g di prodotto (21.70€/Kg).

Adottando questo prezzo Ferrero, oltre ad essere già in concorrenza diretta con i competitor industriali, mette il proprio prodotto in competizione con le gelaterie tradizionali le quali, spesso e volentieri, non applicano prezzi molto differenti.

Ovviamente, per via dell’affezione al marchio, magari Ferrero può riuscire nell’intento di imporsi ma non è un gioco per tutti, soprattutto per chi non ha la stessa risonanza e la medesima presa sui clienti.

Quali soluzioni?

Nello scenario odierno, per un’azienda produttrice di gelato, servire la GDO attraverso l’MDD, senza imporre per forza il proprio brand, può risultare una scelta saggia, così come collaborare con marchi noti dell’IDM al fine di rendere gelato alcuni brand iconici.

Il gelato Galatine, ad esempio, nasce dalla collaborazione tra Tonitto 1939 e Sperlari proprio in quest’ottica.

Tale scelta aiuta ad incrementare i volumi, fondamentali per l’industria ed in modo particolare per i segmenti stagionali come il mondo del gelato mentre, allo stesso tempo, si cresce in termini di cifra d’affari guadagnando feedback cliente rilevanti.

Per quanto concerne la verticalizzazione, invece, il timore è quello che, vendendo il solo gelato, non si riesca sempre a generare profitti.

Ho sempre apprezzato, ad esempio, il caso di Venchi che, abbinando due consumi stagionali, ovvero il cioccolato ed il gelato, è riuscita a calibrare un format di store performante con il quale sta conquistando anche l’estero.

In RetailWatch continueremo a monitorare con interesse lo sviluppo dei formati e dei brand legati al mondo del gelato, per verificarne le performance e commentarne le prospettive.

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