Olmi: Torneranno i prati. Gli stessi di prima?

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Olmi: Torneranno i prati. Gli stessi di prima?

Dicembre 2014. “Ha lasciato morire in croce suo figlio. Credi che gli importi di noi poveri cani?”
 
Cento anni sono passati dalla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Cento anni. Nel 1915 entrava nel conflitto l’Italia. Come verremo ricordati noi fra cent’anni? Che traccia avremo lasciato del nostro passaggio?  Cosa leggeranno sui libri di storia della nostra generazione?
E le nostre storie di singoli. Le nostre imprese di giovani, col mondo tra le mani. I nostri amori, le nostre sofferenze, le nostre gioie.
 
Cosa rimarrà di loro fra c-e-n-t-o-a-n-n-i?
 
Percorrendo a piedi il sentiero E5 da Verona a Bolzano, lungo le vie solcate dalle trincee del Primo Conflitto Mondiale il tempo si è fermato. Le cicatrici austriache non si trovavano che a poche decine di metri da quelle italiane. Si sparavano in faccia. Ancora oggi in quei cunicoli, nelle grotte, si possono trovare gli oggetti e gli effetti personali dei soldati. Il paesaggio è ancora disastrato e confuso dalle bombe cadute un secolo fa. Sono paesaggi che non possono che cambiare radicalmente la visione che abbiamo del nostro povero, martoriato paese.
 
Ermanno Olmi firma uno dei rarissimi capolavori italiani della contemporaneità, con lucidità di tempi e immagini. Dolci, a tratti spietate, carezze e poi schiaffi.
Torneranno i prati è un’accurata analisi del concetto di memoria. Ne svela infatti anche il sentimento, riportato nel titolo, solo sulle battute finali.
Il Cinema, ancora una volta, con forza e spietatezza, ci riaccompagna in luoghi dimenticati, aprendoci le porte di ripostigli impolverati dove troviamo noi stessi, abbandonati e soli, senza coscienza di sé. Perché, come amano dirci i saggi anziani, se non sai da dove vieni, non sai dove stai andando. E questa non è retorica, ma ciò che insegna la Storia. Il ripetersi ciclico degli stessi errori commessi dai nostri genitori, poi dai nostri nonni, fino ai nostri antenati, è la prova tangibile di quanto poco siamo in grado di ascoltare il nostro passato, quella lunga via intrecciata di rovi e spine, che tanto faticosamente ogni giorno attraversiamo.
 
Ingenui, poveri e affamati, i soldati al fronte combattevano una guerra della quale non riuscivano a comprendere le ragioni e l’insensata violenza. Con abbandono e rassegnazione si lasciano andare di fronte a questo gigantesco mostro del quale non conoscono l’identità, confortati dal solo pensiero che a casa, qualcuno, stia pensando a loro e, aspettandone il ritorno, bagni fotografie sdrucite di pietose lacrime.
 
Probabilmente uno dei suoi film più riusciti, piace pensare che Torneranno i prati sia un testamento del Maestro Ermanno Olmi, che ha avuto la forza, alla sua età (83), di girare una pellicola tanto impegnativa e dolorosa, meritandone più che mai la definizione “fatica”.
Uscendo dalla sala, facilmente lo spettatore può avere la sensazione di avere assistito visivamente a una poesia, capace di catturare tutti i sensi e di averne accresciuto la consapevolezza umana  e sociale. Ad oggi, solo certe canzoni di Fabrizio De Andrè possedevano la forza di renderci orgogliosi della nostra umanità, con così tanta dolcezza e amarezza al tempo stesso.
 
VELOCITA’: E’ qui che risiede il piccolo miracolo di Olmi: raccontare l’assenza di tempo nelle trincee, con silenzi e lievi parole dialettali, ma al tempo stesso centellinare ogni singola sospensione, eliminando tutto il superfluo, lasciando solo la cruda realtà vissuta dai giovani italiani. Parentesi: il ritmo di questo film si distacca da qualsiasi altra opera di Olmi, quindi- niente panico, dura circa un’ora e venti.
 
TEMPERATURA: Glaciale. La fotografia (incredibile) riprende i colori sbiaditi delle foto dell’epoca, recate in ogni dove dai soldati italiani, sommersi dalla neve e sopraffatti dal freddo inverno trentino. Tale freddezza viene riportata anche sull’immobilità delle posizioni dei soldati, congelate sul posto, ad attendere una fine tanto imminente quanto, talvolta, agognata.
 
QUALITA’: Un capolavoro che trova il suo posto in quel Pantheon di opere monumentali, firmate dai più grandi registi del Novecento.
 
COLONNA SONORA: Paolo Fresu, con un acuto studio dei canti popolari declamati dai soldati al fronte per allietare le interminabili ore di attesa, contribuisce a piene mani a ricreare un’atmosfera unica che, come detto, devia da tutto ciò che negli ultimi anni ci eravamo abituati a chiamare Cinema.
 
DA VEDERE CON: Obbligatoriamente tutti. Difficilmente vien da pensare a film altrettanto ricchi di valore educativo e didattico. Ogni italiano, di qualsiasi età, sesso e religione, dovrebbe ricevere l’opportunità unica di vedere questa pellicola.

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