Non è affatto vero che diminuendo i prezzi aumentino le vendite

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Non è affatto vero che diminuendo i prezzi aumentino le vendite

Novembre 2016. Luigi Rubinelli ci sollecita a chiederci cosa sia un prezzo e come funzioni il sistema dei prezzi nel suo insieme, per capire a quali regole risponda tutto ciò che accade attualmente nel mondo dei beni di largo consumo. Inizierò allora con un'osservazione molto dura, ma necessaria.

Ho incontrato e ascoltato pochi manager (del settore del largo consumo) che riuscissero a inquadrare questo argomento di discussione quotidiana, all’interno di un pur vago approccio teorico.  Non che la cosa impedisca di governare con successo le aziende. Infatti, l’umanità ha vissuto per migliaia d’anni coltivando i campi e gestendo l’esistenza quotidiana pensando che il sole girasse intorno alla terra e non viceversa. Tuttavia, dibattere e razionalizzare la logica dei prezzi e le loro dinamiche uscendo dagli stereotipi può aiutare ad elaborare strategie alternative e forse più profittevoli.
 
Ci vorrebbe più economia e meno sociologia del consumo
Il problema della odierna pochezza teorica nasce dalla sostituzione di una rigorosa logica economia con  una eterogenea e superficialissima sociologia del consumo, che rifugge da serie verifiche empiriche dei suoi assunti e dei suoi precetti normativi. Il funzionamento del processo con cui si formano i prezzi viene spiegato in base a considerazioni impressionistiche  e intuitive non  sistematizzate.

Il fatto va ricondotto, ancora una volta, all'implosione del mito e della realtà del Comunismo. Sino al 1989 l’idea  che si potesse abolire il sistema dei prezzi fondato sul libero mercato o (in Occidente) governarlo attraverso l’intervento dello stato  alimentava accesi dibattiti sulla teoria del "valore". Con la trasformazione dei regimi comunisti in neo-capitalisti, tralasciando le propensioni criminogene di una follia collettiva durata 80 anni, la conseguenza è stata l’accettazione acritica del sistema dogmatico della microeconomia neoclassica, con le sue le curve di domanda e offerta, i criteri della marginalità, ecc. e insegnata in tutte le università.

Dunque la prima considerazione, pur avendola insegnata anch'io, sarebbe quella di smetterla di trasmettere alle giovani menti una rappresentazione del mondo, che è certamente rassicurante, ma drammaticamente fuorviante nella sua astrattezza scolastica.

Sia chiaro, il principio per cui il valore deriva dal giudizio che ogni individuo attribuisce riferendosi a un bene o a un servizio, resta indiscutibile. La confusione nasce immediatamente quando si esamina il problema della scelta tra alternative simili e dunque sostitutive l'una dell'altra. 150 anni di storia industriale e commerciale hanno modificato il mondo dei consumi così radicalmente che le ipotesi fondanti del pensiero neoclassico non reggono più. 
 
Non è vero che…
Partiamo dalla curva d domanda che ogni manager dà per scontata. Pensata per un mondo in cui si compravano prodotti sfusi, non tiene conto che un cliente-consumatore oggi acquista per unità finite quasi ogni cosa: 1 televisore, 1 litro di latte, 500 gr. di pasta, 6 uova … Che senso ha allora disegnare o pensare ad una funzione continua? Una curva che pende verso il basso all'aumentare del prezzo?

Ciò implica che ad una minima diminuzione di un prezzo corrisponda un aumento anche infinitesimo dei volumi acquistati. Peccato che ciò non sia vero. L'acquisto anche del prodotto più banale (pasta, latte, …) avviene “a scalini”, per quantità finite: 500 gr. … 1 litro. Se si diminuisse  di un centesimo al giorno il prezzo di un bene potrebbe non accadere nulla. Io continuerei a fare dei miei acquisti nella medesima proporzione. Poi, un certo giorno, dopo che il prezzo è sceso oltre una certa soglia critica, potrei  decidere di comprare 1 kg di pasta o 2 litri di latte, per poi restare indifferente a ulteriori, progressive diminuzioni di prezzo. Astrazione teorica? No! Interpretazione corretta degli effetti delle promozioni di prezzo tanto alla moda e così mal concepite!

Obiezione: ma i dati e i modelli ci dicono che le promozioni funzionano. Contro-obiezione: i grafici con la famosa curva  volumi-prezzi che circolano per le aziende sono basati su un illusione ottica derivante dal mischiare orribilmente i dati di punti di vendita, di regioni e formato diversi e sommandoli in un intervallo di tempo abbastanza lungo.

In realtà la relazione prezzo-domanda riguarda, non l’aggregato, ma solo ogni singolo individuo. Dunque per spiegare razionalmente gli effetti di una variazione di prezzo (in un mondo di prodotti in quantità finite e di prezzi normalmente rigidi come quelli del mondo del libero servizio) occorrerebbe mostrare se essa fa aumentare il numero degli acquirenti, oppure il numero di acquisti dei medesimi clienti di un punto di vendita. Ulteriormente, le variazioni di prezzo o promozioni andrebbero rappresentate con distribuzioni di frequenza dei singoli casi, invece che con coppie di dati puntuali da disporre su una curva. Di conseguenza, il calcolo dell’effetto atteso di una promozione non andrebbe interpretato in logica causa-effetto partendo dai dati aggregati, ma come una distribuzione di probabilità riferita a tante singole realtà individuali (pdv e clienti). La rappresentazione del mondo, in questo senso ne risulterebbe radicalmente alterata rispetto agli stereotipi correnti che ispirano le decisioni manageriali e darebbe loro un’idea dei loro margini di incertezza, invece che delle false certezze.

Questo è solo un primo punto elementare ottenuto dall’uso della logica economica riferita alla teoria dei prezzi, ma forse può servire ad avviare il dibattito, avanzando il principio socratico per cui riferendoci ai prezzi  sappiamo di non sapere quasi nulla.

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