L’agricoltura verticale, o vertical farming, si sta progressivamente affermando anche in Italia come una risposta concreta alle sfide ambientali, logistiche e qualitative che la produzione agricola tradizionale fatica a sostenere. Dietro tale evoluzione non ci sono solo numeri di crescita promettenti ma anche nuove tecnologie, modelli di business alternativi e una domanda crescente sia da parte della GDO sia della ristorazione di alta gamma.

Cos’è il Vertical Farming?
Il vertical farming è una tecnica di coltivazione che prevede la crescita delle piante in ambienti chiusi e controllati, disposte su livelli verticali sovrapposti. In queste “fabbriche verdi” si impiegano prevalentemente sistemi idroponici ovvero con acqua arricchita di nutrienti, o aeroponici (coltivazioni con aria nebulizzata). Questi sono generalmente integrati da illuminazione LED a spettro calibrato, regolazione di temperatura e umidità, e intelligenza artificiale per l’ottimizzazione dei cicli colturali.
Uno dei principali vantaggi di tale sistema è la possibilità di produrre 365 giorni all’anno, indipendentemente dalle condizioni climatiche esterne. Tuttavia, il dato più significativo riguarda i risparmi generati dall’impiego di questa tecnica perché si utilizzano fino al 95% di acqua ed il 98% di suolo in meno rispetto all’agricoltura tradizionale.
I prodotti sono coltivati senza pesticidi, e molti impianti si alimentano esclusivamente con fonti rinnovabili: insomma, l’ortaggio coltivato in vertical farm è maggiormente sostenibile e, soprattutto, arriva in tavola nelle condizioni migliori cui si possa aspirare perché non è danneggiato da sbalzi di temperatura, intemperie, insetti e inquinamento.

Costi e sfide tecnologiche
Questa rivoluzione verde ha un prezzo. L’avvio di un impianto di vertical farming richiede infatti investimenti iniziali tendenzialmente molto elevati: dai 3 ai 10 milioni di euro per strutture medio-grandi, con costi che aumentano a seconda del livello di automazione e della tecnologia impiegata.
Le spese operative restano alte, soprattutto per l’energia e per la necessità di personale altamente specializzato in materia agraria ma anche nella gestione degli impianti e dei software di controllo. La scalabilità rappresenta una delle sfide principali. Attualmente, le produzioni si concentrano su ortaggi a foglia come lattughini, rucola e basilico poiché colture più complesse come pomodori o fragole comportano dinamiche biologiche ed economiche più difficili da gestire.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla percezione dei consumatori. Sebbene una parte del pubblico riconosca il valore nutrizionale ed etico dei prodotti da vertical farm, altri restano diffidenti giudicando questa agricoltura “artificiale”. Anche il costo di tali articoli può essere un fattore limitante, benché alcune aziende abbiano già ridotto i prezzi di vendita per avvicinarsi a quelli del prodotto convenzionale.
Una crescita silenziosa, ma solida
Nonostante le sfide di cui abbiamo parlato, il settore cresce. A livello globale, il mercato del vertical farming dovrebbe passare dai 7 miliardi di dollari (dato 2024) ad oltre 23 miliardi entro il 2030. In Italia, si prevede una crescita annua del 19-20%, anche se nel nostro Paese il valore del mercato è ancora relativamente contenuto. Il potenziale è notevole, perché il vertical farming può:
- contribuire a rendere il sistema agroalimentare più dinamico
- ridurre la dipendenza dalle importazioni
- accorciare drasticamente la filiera
- permettere la coltivazione in prossimità dei centri urbani
- abbattere l’impatto ambientale del trasporto
- garantire un prodotto freschissimo, pronto al consumo, e nelle migliori condizioni immaginabili
- Risparmiare il 95% di acqua
- Risparmiare il 98% di suolo

Un altro elemento fondamentale per il successo del vertical farming è l’innovazione. Diverse aziende italiane hanno investito in laboratori di ricerca e sviluppo, anche grazie al supporto di finanziamenti pubblici e privati.
Distribuzione e aziende protagoniste

I prodotti coltivati in ambienti verticali sono oggi presenti sugli scaffali della GDO italiana. Questi si stanno lentamente ritagliando una fetta di mercato spinti anche da una domanda crescente di cibo sano e sostenibile. Due le principali protagoniste del vertical farming: Planet Farms e Kilometro Verde.


Planet Farms è un’azienda italiana fondata nel 2018 a Milano da Luca Travaglini e Daniele Benatoff, ed è oggi tra i principali attori europei nel settore del vertical farming. Si distingue per l’approccio fortemente tecnologico e industriale: i suoi impianti sono completamente automatizzati, alimentati al 100% da fonti rinnovabili e progettati per gestire l’intera filiera, dalla semina al confezionamento.
Planet Farms ha anche una forte vocazione internazionale, essendo già attiva in Svizzera ed avendo piani di espansione in Inghilterra e nei Paesi nordici. Il suo primo stabile ha subito un importante incendio nel 2024 ma la nuova struttura nel comasco è ancora più estesa.


Kilometro Verde, nata come spin-off dell’azienda agricola La Linea Verde, è una realtà più giovane ma in espansione. Fondata da Giuseppe Battagliola, si è affermata puntando su GDO, sostenibilità e ricerca. La sua struttura è meno automatizzata rispetto a quella di Planet Farms ma ha investito in laboratori e filiera corta, sviluppando colture fogliari per il mercato retail. Ha ottenuto finanziamenti pubblici e privati per espandersi, con una strategia più focalizzata sul mercato nazionale.
Vertical Farming: un plus per la gastronomia italiana

Ciò che rende il vertical farming particolarmente interessante in Italia è il suo potenziale di integrazione con l’eccellenza gastronomica del Paese. Planet Farms, per esempio, collabora con gli chef tre stelle Michelin Cerea a Brusaporto: presso Da Vittorio Ristorante, infatti, è presente la prima vertical farm stellata, gestita appunto dall’azienda.
Profili aromatici unici e controllati al microscopio, valorizzazione della stagionalità, scoperta di nuovi sapori sopiti: ecco il valore, in un contesto d’alta cucina. La critica maggiore alla “coltivazione verticale”, come spiegato, viene dallo scetticismo verso prodotti che possono dare la sensazione di artificiosità: ebbene, il vertical farming non solo non è “artificiale” ma rappresenta un rispetto maggiore per la natura stessa degli ortaggi, perché li valorizza ed esalta.
Le vertical farm non sono una moda passeggera, bensì una risposta strutturale ai limiti dell’agricoltura convenzionale. La loro crescita dipenderà dalla capacità di abbattere i costi, aumentare la varietà delle colture, coinvolgere i consumatori in modo trasparente e continuare a costruire filiere virtuose. Se supportato adeguatamente, il vertical farming potrà diventare non solo un’alternativa valida, ma una delle colonne portanti della nuova agricoltura italiana.